
«La crisi che ci ha colpito non ha spento l’intraprendenza italiana e la voglia di aiutarsi»
La fase storica in cui viviamo sottopone tutti i membri della società a ripetute destabilizzazioni della vita quotidiana: siamo chiamati a convivere con crisi ricorrenti. E insieme alle paure e alle nostalgie, le crisi mettono in moto energie sopite, slanci vitali, capacità progettuali. La quarta indagine sui valori degli italiani nel contesto europeo (Evs 2009, European Values Study) permette di fare il punto su questo insieme di risorse e di verificare in che modo esse incidano sulle esperienze familiari e lavorative, sulle appartenenze religiose, sull’apertura-chiusura verso gli altri, sulla partecipazione politica e sociale, sul futuro della società nel suo complesso. Si tratta di una banca dati unica nel suo genere, che consente confronti transnazionali sui mutamenti culturali avvenuti in Europa in un periodo di quasi quarant’anni. Come e quanto sono mutati i modelli di orientamento, le convinzioni radicate, gli obiettivi altamente desiderabili degli italiani? Giancarlo Rovati, professore ordinario di Sociologia all’Università Cattolica di Milano, intervistato da tempi.it, partecipa al progetto sin dalla sua nascita e ha curato un volume (“Uscire dalla crisi”, Vita e Pensiero editore) in cui sono raccolti e commentati i dati riferiti al biennio 2008-2009.
Professore, com’è cambiato il rapporto con la politica?
C’è una forte sfiducia, ma non è solo un limite della politica, è un limite degli italiani di fronte alle organizzazioni collettive. Si può dire che gli italiani operino a due velocità: esprimono orientamenti positivi a livello dei propri mondi vitali, cioè gli incontri diretti, i legami di fiducia verificabili. Esprimono invece orientamenti negativi quando si tratta di organizzazioni (come i sindacati) e le istituzioni pubbliche, che considerano lontane ed efficienti. C’è un diffuso e disincantato scetticismo verso ciò che è lontano e non verificabile.
Qual è la trasformazione più importante che ha investito l’Italia nell’ultimo decennio?
Per la sua portata quantitativa e strutturale, certamente l’ingresso di milioni di nuovi lavoratori, provenienti da vari Stati e continenti, che hanno occupato spazi lasciati vuoti dagli italiani. Si deve in buona misura all’ingresso nel mercato del lavoro di questa mano d’opera la seconda grande trasformazione, che coincide con l’accettazione culturale e sociale della flessibilità lavorativa, che ha reso precaria la condizione di migliaia di vecchi e nuovi lavoratori, con effetti profondi sui progetti di vita familiari e generazionali. Le nuove regole del mercato, applicate in larga misura agli immigrati, sono diventate più facilmente adottabili dalle imprese.
Pur nel contesto profondamente “mobile” delineato dal volume emerge un ritrovato interesse per il lavoro. Quali sono gli aspetti più apprezzati?
Balzano in primo piano il guadagno e la sicurezza del posto di lavoro, seguiti a breve distanza dalla corrispondenza con le proprie capacità, dalla sensazione di realizzare qualcosa di utile per sé e per gli altri, dall’avere un lavoro interessante. Una visione molto tradizionale, ma che viene calcolata sui valori educativi del lavoro: responsabilità e impegno. La dimensione pratica convive quindi con la dimensione espressiva, dall’insieme dei dati si potrebbe dedurre che le attuali difficoltà ad innalzare il tasso di attività degli italiani dipendono solo marginalmente da resistenze verso forme di lavoro non conformi alle proprie aspettative. Inoltre la ricerca ha permesso di ridimensionare le tesi sul sostanziale immobilismo della società italiana: i dati documentano la presenza di processi di mobilità ascendenti sia a livello professionale che scolastico.
Come ha impattato la crisi sul sistema di valori degli italiani?
Il nostro paese ha conosciuto una serie di difficoltà economiche, ma anche sociali, e non da oggi: basti pensare al nostro tasso di invecchiamento, a quello di natalità. Malgrado ciò, l’Italia si caratterizza per alcuni comportamenti sociali, come il grande peso dell’imprenditoria, o il numero elevatissimo di associazioni di volontariato, che ci rivelano due orientamenti di fondo: intraprendenza e voglia di aiutare gli altri. La crisi non ha ridotto né la voglia di fare, né il desiderio di sentirsi utili. E non è un dato scontato. Inoltre le evidenze empiriche fornite dall’indagine mostrano una forte correlazione tra queste due tendenze e la presenza di forti convinzioni ideali (principalmente religiose, ma non solo) mentre l’incertezza su questo versante si traduce in minore propensione al rischio. C’è un rapporto diretto tra fede e fiducia, verso gli altri, ma anche verso se stessi. La fede, come fonte di certezza, rende più capaci di affrontare anche l’incertezza.
twitter: @SirianniChiara
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