Adesso il loro singolo, Little Talks, li ha lanciati persino nello Stivale, raggiungendo l’ottava posizione in classifica e mostrando, come già fece Bjork, che l’Islanda non dev’essere ricordata solo per i geyser. E per chi pensa che il loro successo sia estemporaneo, casuale e che dall’isola dei ghiacciai non possa, generalmente, venir nulla di buono, dovrà arrendersi all’ennesima coincidenza. Il 28 maggio è uscito in Italia Valtari, l’ultimo album dei Sigur Ros. Per chi non avesse in mente la storia del quartetto di Jonsi Birgisson, ricordiamo qualche dato: si formano nel 1994, pubblicano Von nel 1997, e da lì in poi è un’ascesa. Il terzo album, Agaetis Byrjun, contiene tre pezzi che faranno parte della colonna sonora di Vanilla Sky di Cameron Crowe, con Penelope Cruz, Cameron Diaz e Tom Cruise.
Intermezzi di valore, come gli album () e Takk…, hanno consacrato i giovani islandesi a fama mondiale, con tour che raggiungevano Hong Kong e gli States. Era perciò più che giusta l’attesa dei tantissimi fan per l’uscita di Valtari, tanto più che il gruppo era fermo da tre anni, nei quali il front-man Jonsi ha avanzato alcuni progetti da solista dagli alterni risultati. Ma ecco l’album, e l’impressione non è positiva. Sembra, infatti, che i Sigur Ros si siano arrestati sui propri cliché, con ritmi lenti, cadenzati, falsetti angelici, zone cupe, tonalità new age. Gli esperimenti di Jonsi, come Go Do del 2010, lasciavano spazio a dimensioni pop con maggiore incidenza delle percussioni. Valtari, invece, è l’album che tutti si aspettano: senza novità, senza sostanza, canzoni buone per addormentare i poppanti. Con l’unica eccezione di Varùt. Insomma, dalla tradizione dei Sigur Ros e la giovanile freschezza degli Of Monsters and Men, quest’anno meglio scegliere i secondi. Perché, almeno in Islanda, le baronie non durano.