La festa dei derelitti

Di Carlo Simone
29 Giugno 2025
In “Vicolo Cannery” c’è tutta l’ammirazione di Steinbeck per la povera gente e la sua battaglia contro quei «mali gemelli» che sono «perbenismo e presunzione»
L’industria delle sardine in Cannery Row divenuta grazie a John Steinbeck il simbolo e la principale attrazione turistica della città di Monterey, California (foto
L’industria delle sardine in Cannery Row divenuta grazie a John Steinbeck il simbolo e la principale attrazione turistica della città di Monterey, California (foto Depositphotos)

Chi di voi andasse a farsi un giro in California, dalle parti di Monterey, s’imbatterebbe in Cannery Row: una waterfront road, come tante – anche più suggestive – se ne trovano in quel paese benedetto, diventata però una rinomata meta turistica. Infatti, proprio qui, a inizio XX secolo, una bizzarra trinità come solo il Nuovo Mondo sa mettere insieme diede vita alla prolifica industria delle sardine in scatola: Frank Booth, imprenditore; l’inscatolatore norvegese Knut Hovden; e il pescatore siciliano Pietro Ferrante. Chi va in America a cercare località d’interesse storico, si sa, un po’ si deve accontentare, scordarsi il Colosseo e le basiliche paleocristiane, e stare al gioco: e allora ben venga l’industria delle sardine…

Ma forse è proprio per l’assenza sostanziale della Storia che gli scrittori degli Stati Uniti hanno potuto dedicarsi con più scioltezza e immediatezza alle storie (con la minuscola): quelle della gente qualsiasi, alle prese con la piccola epica quotidiana, con la picaresca lotta per un sorso di whisky come novelli personaggi di Plauto e Terenzio, e con tutta la grettezza e il bisogno di redenzione che sintetizzano la lotta al fondo del cuore dell’uomo di ogni tempo.

“Vicolo Cannery”, un inno alla positività della vita

E proprio in Cannery Row, che all’epoca si chiamava (prosaicamente) Ocean View Avenue, John Steinbeck ambienta un romanzo (Vicolo Cannery, titolo originale Cannery Row, 1945) poco noto al grande pubblico in Italia, ma che in patria all’uscita fu accolto da un successo editoriale strepitoso, secondo soltanto al capolavoro Furore (The Grapes of Wrath, 1939). Una bomba tale da far ribattezzare Ocean View Avenue; e tuttora, a chi passasse da quelle parti, capiterebbe di imbattersi in Steinbeck Plaza, nella ditta di statuaria John Steinbeck, negli Steinbeck Jewelers… Ciascuno si costruisce i propri santuari turistici come può!

Vicolo Cannery è uno straordinario inno alla vita e alla sua positività irriducibile: un peana al Bene, tanto più eclatante se si considera che l’autore lo concepisce mentre è reporter in Europa all’alba dell’offensiva delle Ardenne, nella sentina della Storia che già gli aveva ispirato il piccolo capolavoro La luna è tramontata (The Moon is Down, 1942), esaltazione della libertà contro ogni tirannia.

La crociata di Steinbeck contro «perbenismo e presunzione»

Dico “peana”, ma i personaggi di Vicolo Cannery non hanno niente di altisonante: ci sono Lee Chong, il silenzioso commerciante cinese; l’irrecuperabile perditempo Mack e i suoi amici sconclusionati; Sam Malloy, che assieme alla moglie vive dentro una caldaia senza finestre, pure se la signora Malloy vorrebbe comprare a tutti i costi delle tende che le piacciono; Dora Flood, nobile amministratrice del bordello del quartiere; Frankie, ragazzino che ruba perché non trova miglior modo per dire «ti voglio bene»… E soprattutto c’è il Dottore, personaggio ispirato al biologo marino Ed Ricketts cui il romanzo è dedicato, che fu intimo amico di Steinbeck. “Doc” è un uomo sempre pronto ad aiutare il prossimo, con uno sguardo di compassione virgiliana negli occhi, un’aura candida alla principe Myškin, ma pure pronto a scaricare l’autostoppista che lo moralizza perché al volante si sta scolando una bottiglia di birra («Vi darò un pugno sul naso, se non sarete sceso prima che io abbia contato fino a dieci. Uno, due, tre…»).

In effetti, come notato dal critico Warren French, «perbenismo e presunzione» sono «i due mali gemelli» contro cui Steinbeck combatte la propria crociata, alla latitudine di ogni suo romanzo. Non è infatti mediante lenti ideologiche, bensì attraverso uno sguardo appassionato alla schiettezza dell’umano e nostalgico di un’epoca in cui la solidarietà era più carnale, che lo scrittore premio Nobel nel 1962 contempla la sua povera gente. Per questo nasce in noi il tifo commosso per i protagonisti di Furore, o l’indignazione e la pietà per la sorte dei due protagonisti di Uomini e topi. E sempre per questo è così godibile leggere le comiche disavventure dei derelitti di Vicolo Cannery, il loro brontolare volendosi bene, il tentativo ironico di costruire con le loro mani qualcosa che sia un po’ meglio delle misere creature che tutti quanti siamo.

L’evento cristiano per eccellenza

È emblematico, da questo punto di vista, che il motore dell’azione di tutto il romanzo sia il tentativo rocambolesco da parte di Mack e sodali di organizzare non una, ma ben due volte una festa per ringraziare il Dottore del bene da lui compiuto nel quartiere («Il Dottore è il più brav’uomo che io abbia conosciuto. […] Sapete, una volta l’ho imbrogliato perché mi desse un dollaro. Gli inventai tutta una maledetta storia. E mentre gliela stavo raccontando, vidi che sapeva fin troppo bene che era tutta una frottola. E così, proprio mentre gliela stavo raccontando, gli dissi: “Dottore, questa è una balla!”. E lui si mise una mano in tasca e tirò fuori un dollaro. […] Glielo restituii il giorno dopo. Non lo spesi per niente. Lo tenni tutta la notte e poi glielo restituii»).

La festa è l’evento cristiano per eccellenza, assieme alla crocifissione: bizzarro e grandioso ossimoro, che si può rinvenire scavando nel Dna di ogni grande pagina di letteratura moderna. E in Steinbeck ce ne sono diverse: per esempio – e concludo – il folgorante incipit del romanzo, dal sapore di certe canzoni di De André:

«Il Vicolo Cannery a Monterey in California è un poema, un fetore, un rumore irritante, una qualità della luce, un tono, un’abitudine, una nostalgia, un sogno. Raccolti e sparpagliati nel Vicolo Cannery stanno scatole di latta e ferro e legno scheggiato, marciapiedi in disordine e terreni invasi dalle erbacce e mucchi di rifiuti, stabilimenti dove inscatolano le sardine coperti di lamiera ondulata, balli pubblici, ristoranti e bordelli, e piccole drogherie zeppe, e laboratori e asili notturni. I suoi abitanti sono, come disse uno una volta, “Bagasce, ruffiani, giocatori, e figli di mala femmina”, e intendeva dire: tutti quanti. Se costui avesse guardato attraverso un altro spiraglio avrebbe potuto dire: “Santi e angeli e martiri e uomini di Dio”, e il significato sarebbe stato lo stesso».


Copertina di “Vicolo Cannery”, romanzo di John Steinbeck

John Steinbeck, Vicolo Cannery, 1945, edito in Italia da Bompiani nel 2007, 256 pagine, 13 euro.


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