I mostri di Garlasco. E gli errori mostruosi

Di Caterina Giojelli
03 Giugno 2025
Diciotto anni dopo l’omicidio di Chiara Poggi si riparte da zero. Non con nuove prove, ma con un nuovo imputato. Stefano Zurlo ripercorre il labirinto giudiziario: troppe perizie, gogne mediatiche e presunti misteri. «D’accordo con Nordio, ma qui servono prove. Anche l’innocente lascia indizi»
Garlasco, 18 anni dopo: un nuovo imputato, stessi interrogativi (collage foto Ansa)

«Non sembrava più un processo, ma un congresso scientifico d’Ottocento. L’ora della morte, il sangue, il dna: tutti avevano una loro versione. Tutto, per delega e confusione, era stato dato in pasto agli esperti. Così la Procura si era persa fin dall’inizio in un labirinto. Il caso Garlasco è diventato il termometro della giustizia in Italia, ma lo era già 18 anni fa, quando si è pensato che con le perizie si potesse sistemare tutto. E lo resta oggi, che si tenta una revisione. Non con prove nuove, ma con un colpevole nuovo».

Stefano Zurlo, inviato del Giornale, cronista giudiziario di razza, è stato fin dall’inizio testimone diretto e narratore sul campo dell’omicidio di Chiara Poggi. Uno dei pochi a non farsi travolgere dalla farsa forense in cui si è trasformata un’indagine che cominciò storta e proseguì peggio.

La vicina e la madre ignorata

È stato il primo, mentre il nugolo di esperti nominati dal gip litigava sull’ora della morte – le nove, le dieci, le undici, mezzogiorno – a dare voce alla madre: «Mia figlia non apriva mai agli sconosciuti. Il 13 agosto 2007 ha disinserito l’allarme alle 9.12, e deve essere morta pochi minuti dopo». È stato anche il primo a parlare con la vicina Franca Bermani, che dava da mangiare ai gatti e raccontava di aver «notato verso le 9.10 una bici nera da donna appoggiata alla recinzione della casa». «Ma quella è anziana – replicarono a Zurlo i carabinieri -. Chissà cosa ha visto». Dopo 7 anni quella bici, o una bici analoga, sarà sequestrata.

Ma Stefano Zurlo è anche il primo a mettere in guardia dal revisionismo che si presenta come nuova verità. «Oggi vogliono far passare per idioti quaranta giudici, tre gradi di giudizio, la Cassazione, i RIS. Ma non si può. Lo dico da ipergarantista: le indagini sono state fatte male, ma fino a un certo punto». Non difende un dogma, ma ha visto come si è costruita, pezzo dopo pezzo, la condanna di Alberto Stasi. «Sono pronto a riparlarne, se dovessero emergere prove vere o indizi seri. Anche l’innocente, come il colpevole, lascia indizi. Solo che sono indizi della sua innocenza. E qui ad oggi non se ne vedono».

Chiara Poggi (foto Ansa)
Chiara Poggi (foto Ansa)

Da Stasi a Sempio, «vice-mostro per acclamazione»

Qui l’innocenza di Stasi deriverebbe dalla presunta colpevolezza di Andrea Sempio, «ma ciò che è stato prodotto da Procura e difesa a supporto della tesi finora è solo confusione. Un caos». Abbiamo un condannato a sedici anni, molti già scontati, che si proclama innocente. E un indagato – che si vocifera diventeranno più indagati – che andrà a processo, e ha già preso il posto del colpevole. «Un vice-mostro. Anzi, il vero mostro, per acclamazione popolare».

Nel mezzo c’è di tutto: intercettazioni, scontrini, yogurt scaduti, capelli, telefonate mute, video hard su chiavette, sogni e post degli avvocati. Oggetti ritrovati oggi nel canale di Tromello, dragato 18 anni dopo il delitto perché un testimone, intervistato alle Iene, sostiene che lì sia stata gettata l’arma. Testimoni che emergono dopo anni, profili genetici, piste che si allungano fino al Santuario della Bozzola e poi volano in Colorado. Dichiarazioni lunari: basti pensare a quelle del legale di Sempio, che lo definisce «un comunista disadattato», tirando in ballo la Chiesa, il caso Orlandi, perfino Trotsky.

Soprattutto nuove perizie, che si aggiungono alle oltre 40 eseguite in otto anni per correggere una sentenza definitiva. «Ma se dimostreranno davvero che Sempio è colpevole, sapranno anche spiegare come Stasi ha fatto a uscire immacolato dal mattatoio di via Pascoli. Per ora, nessuno c’è riuscito». Torniamo lì, dove tutto è cominciato.

L’intervista esclusiva ad Alberto Stasi mandata in onda dalle Iene il 30 marzo 2025
L’intervista esclusiva ad Alberto Stasi mandata in onda dalle Iene il 30 marzo 2025

Le rane, le villette, i file porno. Garlasco 2007

Prima che investigatori, magistrati e giornalisti complicassero tutto, le cose si presentavano semplici. Non c’erano serial killer. Né messe nere. C’era un paese, Garlasco, 10mila anime, risaie, villette, rane, provincia. Due famiglie borghesi. Un omicidio terribile, come tanti altri, da affrontare con rigore e senza protagonismi – e invece. Zurlo ci arriva il 16 o 17 agosto 2007, pochi giorni dopo l’omicidio. «Cominciai dalla signora Bermani. Mi parlò della bicicletta: caso chiuso, pensai. Ma i carabinieri mi risero in faccia». Intanto in casa Poggi erano già entrate 25 persone. «Scena del crimine compromessa, impronte scomparse, reperti mal gestiti. Quando il medico legale gira il corpo di Chiara, il sangue inzuppa la maglietta e le impronte digitali, la firma dell’assassino, non sono più rilevabili. Il gatto viene lasciato libero di scorrazzare per casa. Il computer di Stasi viene acceso. È un disastro».

I carabinieri comprometteranno le analisi informatiche (Stasi fornirà come alibi l’aver lavorato tutta la mattina al pc per la tesi), ma non l’archiviazione e la maniacale catalogazione di oltre diecimila file pornografici («materiale anche raccapricciante e violento», scriveranno i giudici, un’ossessione «con tratti francamente eccessivi anche per un giovane alla scoperta della sessualità»). E poi c’è quella telefonata al 118: «Mi serve un’ambulanza. Credo che abbiano ucciso una persona, ma non sono sicuro, forse è viva. C’è sangue dappertutto, lei è per terra». È Stasi. Dice di aver trovato Chiara. Anzi una persona, «una sua parente?», chiede l’operatrice. «No, la mia fidanzata».

Il maresciallo e il pugno di mosche della Procura

Quanto a una bici nera, attribuibile alla famiglia Stasi, salta fuori solo sette anni dopo. Il famigerato maresciallo Marchetto (lo stesso che poi verrà prescritto per falsa testimonianza e ancora imperversa in tv) la ignora, preleva agli Stasi tutte le bici tranne quella. Una viene analizzata dai RIS: sul pedale, e solo lì, ci sono tracce biologiche. «Sangue mestruale di Chiara», sostiene Stasi. Ma al secondo esame, il campione si perde. E quando infine si sequestra la bici giusta, scopriamo che non monta più i pedali originali.

Nel 2009 Stasi sceglie l’abbreviato che garantisce, in caso di condanna, uno sconto di un terzo della pena. La Procura non ha nulla, o così pensa, solo troppe perizie che insieme fanno un pugno di mosche. Il primo giudice lo assolve – assoluzione che, come scriverà Zurlo, «lascia tutti i dubbi e non scioglie i nodi, sancisce solo il fallimento dell’apparato investigativo» -. Il secondo pure. Poi la Cassazione annulla. Il processo si rifà. In appello lo condannano, la Cassazione conferma: 16 anni, con sconto della pena. Non c’è una prova regina, ma ci sono indizi. Che diventano prove, e lo condannano.

Una delle immagini allegate alla consulenza di parte civile nel processo per l'omicidio di Chiara Poggi (foto Ansa)
Una delle immagini allegate alla consulenza di parte civile nel processo per l’omicidio di Chiara Poggi (foto Ansa)

L’impronta delle Frau, le Lacoste che “volano”

Tra questi, «l’impronta lasciata in casa da un paio di scarpe Frau numero 42 con suola a pallini, e la totale assenza di tracce delle scarpe Lacoste che Stasi sostiene di aver indossato quando ha trovato il cadavere di Chiara sulle scale che conducono alla taverna», ricorda Zurlo. Secondo la perizia disposta dai giudici di Milano le probabilità che Stasi non si sia sporcato le scarpe sulla soglia o sui gradini delle scale sono inferiori a quelle di essere colpiti da un meteorite. A meno che volasse.

Eppure non c’è sangue sulle Lacoste, sequestrate diciannove giorni dopo il delitto, né sul tappetino dell’auto con cui Stasi si recò dai carabinieri il giorno stesso. Questa volta per i giudici Stasi non è mai entrato in via Pascoli alle 13:45 in veste di scopritore del corpo di Chiara, ma in precedenza, e da assassino, con le scarpe Frau numero 42. Scarpe di cui aveva comprato un modello analogo tre mesi prima dell’omicidio e che non consegnò mai ai carabinieri.

Nell'infografica realizzata da Centimetri nel 2014 gli interrogativi irrisolti, secondo la Cassazione, nel caso dell'omicidio di Chiara Poggi (foto Ansa)
Nell’infografica realizzata da Centimetri nel 2014 gli interrogativi irrisolti, secondo la Cassazione, nel caso dell’omicidio di Chiara Poggi (foto Ansa)

Dalla condanna “corretta” all'”impronta di Sempio” del TG1: «Sono condanne a morte»

Per Zurlo il ribaltone è l’esito di un percorso corretto, che «ha riparato a errori gravi, facendo luce su elementi fondamentali che erano stati ignorati o vergognosamente nascosti». O meglio, aveva riparato. Perché oggi, con la cosiddetta “fase Sempio” (amico del fratello di Chiara – en passant: scarpe numero 44, bici rossa), si rischia di tornare al punto zero. Non con una revisione – il dilemma della camminata impossibile tra le macchie di sangue e dei pedali resta irrisolto -, ma con un’aggravante: «Prima si cercava di dimostrare l’innocenza. Oggi si punta il dito contro un nuovo colpevole. E su un’impronta, la 33, già analizzata nel 2007 e risultata negativa al sangue, che si vuole riesumare grattando l’intonaco e della quale i periti mi hanno sempre detto: risultati sempre diversi, inconsistenti. Eppure il TG1 ha aperto con “Impronta di Sempio vicino al corpo di Chiara Poggi”. Un’impronta su cui non c’è sangue, ma ninidrina, e che non si trova nemmeno in corrispondenza di un’orma di piede. Queste sono condanne a morte».

Se la Procura di Pavia – oggi guidata da una nuova squadra, dopo un braccio di ferro interno con il gip – ha un asso nella manica o elementi nuovi, li tirerà fuori prima del 17 giugno, quando si terrà l’incidente probatorio su numerosi reperti mai analizzati o rivalutati con tecniche scientifiche più recenti. «Un procedimento che rimette in discussione tutte le certezze faticosamente raggiunte dopo un’altalena di verdetti e di cui si stanno anticipando perizie e informazioni che servono solo a confondere l’opinione pubblica. Ma allora a cosa serve la Cassazione?», chiede Zurlo. «L’ho scritto sul Giornale: qualche volta, raramente, i “supplementari” offrono finalmente squarci di verità. Più di frequente la serializzazione, è un pessimo indizio. Il protagonismo prevale sul sistema. Le prove già esaminate vengono riesaminate. Se possibile, fatte a pezzi».

L'annuncio dell'esclusiva del Tg1: «Impronta di Sempio vicino al corpo di Chiara Poggi»
L’annuncio dell’esclusiva del Tg1: «Impronta di Sempio vicino al corpo di Chiara Poggi»

«Nordio ha ragione. Ma Garlasco è l’eccezione che conferma la regola»

È un’osservazione che pesa come un macigno, se a pronunciarla è chi da una vita dà voce alle vittime di errori e scempi giudiziari che hanno fatto scuola. Come nel caso dell’“uomo sbagliato”, quel Barillà inghiottito da un errore giudiziario che divenne un libro firmato da Zurlo e poi un film con Beppe Fiorello: «Lì l’imputato diceva: “Mi hanno scambiato per un altro”. Punto. Non cercava di dare la colpa a un’altra persona. Qui invece no. La difesa di Stasi non dice solo che è innocente, ma indica un colpevole, forse più di uno. È una cosa diversa».

Oggi il ministro Carlo Nordio rilancia spingendo sulla riforma del sistema delle impugnazioni: «Trovo irragionevole che, dopo una o due sentenze di assoluzione, si arrivi a una condanna senza rifare l’intero processo. Tutto questo è irrazionale – afferma -. Se per legge si può condannare solo al di là di ogni ragionevole dubbio, se uno o più giudici hanno dubitato al punto da assolvere, non si vede come si possa poi condannare». Zurlo nel principio condivide: «Assoluzione definitiva? Favorevolissimo. Lo sarei stato anche diciotto anni fa. Ma bisogna anche dire le cose come stanno», ribadisce, sottolineando la specificità del caso Poggi. «Qui non è sbagliata la legge, è sbagliato tutto fin dall’inizio. Garlasco è l’eccezione che conferma la regola».

Stefano Zurlo sulla riapertura del caso Poggi a Zona Bianca
Stefano Zurlo sulla riapertura del caso Poggi a Zona Bianca

Il populismo della colpevolezza di Sempio

Nel frattempo si torna a parlare di alibi, dichiarazioni, perfino relazioni extraconiugali, verbali riletti con la lente del sospetto. La Procura generale di Milano ha presentato ricorso per chiedere la revoca del provvedimento con cui, nelle scorse settimane, il Tribunale di sorveglianza ha concesso la semilibertà ad Alberto Stasi, a causa dell’intervista «non autorizzata» rilasciata alle Iene durante un permesso familiare. In assenza di discovery, i media lavorano già alla sentenza, montando una nuova campagna dal segno apertamente “colpevolista” contro Sempio e amici.

Una campagna favorita dalla divulgazione di notizie che dovrebbero restare coperte dal segreto istruttorio. E da vecchi e nuovi protagonisti (avvocati, ex pm, esperti o presunti tali, investigatori vecchi e nuovi) capaci di rivelare, anticipare, spifferare e alimentare ogni giorno un processo parallelo a quello istituzionale. «Ora si scoprono gli altarini e le miserie umane, come sempre. Ma cosa c’entra tutto questo con il diritto?». Ancora una volta, pettegolezzi, sospetti e regolamenti di conti stanno scrivendo quella che per molti somiglia già alla seconda stagione di un crime di successo. Ma è molto di più. «Per motivi a me sconosciuti – ma che posso intuire – su Garlasco è in atto una guerra di poteri».

I funerali di Chiara Poggi, 18 agosto 2007: da sinistra: il papà, la cugina Stefania, il fratello, il fidanzato Alberto Stasi, la mamma e la cugina Paola durante i funerali di Chiara Poggi (foto Ansa)
I funerali di Chiara Poggi, 18 agosto 2007: da sinistra: il papà, la cugina Stefania, il fratello, il fidanzato Alberto Stasi, la mamma e la cugina Paola durante i funerali di Chiara Poggi (foto Ansa)

«Presunti misteri? Spesso solo pasticci senza fine»

È da Mani Pulite che Zurlo denuncia le anomalie e le contraddizioni della giustizia italiana e dei suoi apparati investigativi. «Presunti misteri, spesso pasticci senza fine», osserva, «casi in cui, per una ragione o per l’altra, si è smarrita la strada più semplice e si è finiti per perdersi in complotti, teorie cervellotiche, ragionamenti barocchi che non hanno mai individuato i veri colpevoli». Ricorda il caso di Emanuele Scieri, il parà morto in circostanze oscure nella caserma Gamerra di Pisa nell’estate del 1999. Ci vollero più di vent’anni per non chiamarlo suicidio ma “nonnismo”. E poi il caso Gucci del 1994, con la procura di Milano che cercava legami tra la famiglia e l’ex terrorista Delfo Zorzi, latitante in Giappone, mentre in realtà era una storia banale di soldi e tradimenti. La moglie, Patrizia Reggiani, diceva mezza Milano, voleva ucciderlo; con lei vennero arrestati la maga Pina Auriemma, il portiere Ivano Savioni e Benedetto Ceraulo – lo stesso arrestato un mese fa a Pisa per aver sparato al figlio e poi a se stesso.

O ancora il delitto dell’Olgiata: troppo semplice pensare al maggiordomo. Le indagini, poi sospese dai pm, si persero in ricerche di legami con amanti e servizi segreti, finché, con vent’anni di ritardo, furono ascoltate le registrazioni delle telefonate del filippino Manuel Winston Reyes. In una di queste trattava con un ricettatore la vendita dei gioielli rubati alla contessa Alberica Filo della Torre dopo averla uccisa. Nessun complotto, nessun 007: solo un maggiordomo. Come nella maggior parte dei casi che impegnarono “congressi scientifici” e “processi paralleli”, l’assassino non si nascondeva in qualche oscuro retroscena, ma dietro l’angolo.

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