Toshio Takata, pensionato giapponese di 69 anni di Hiroshima, un giorno di sette anni fa prese la sua bicicletta, pedalò fino alla stazione di polizia e di fronte a un poliziotto inscenò la sua commedia: «Guardi come sono bravo a rubare». Poiché in Giappone i piccoli furti vengono sanzionati severamente, il suo piano funzionò alla perfezione: fu condannato a un anno di prigione. «Quando ho raggiunto l’età del ritiro dal lavoro avevo esaurito i miei risparmi», spiega alla Bbc. «La pensione non mi bastava per vivere e così ho pensato che avrei potuto vivere gratis in carcere». Dopo quel primo furto, compiuto all’età di 62 anni, una volta uscito di prigione Toshio andò in un parco e minacciò due donne con un coltello: «Non volevo far loro del male, ma speravo che chiamassero la polizia. E anche quella volta ha funzionato».
«NON HO ALTERNATIVE»
Toshio ha passato quattro degli ultimi otto anni in carcere e poiché la pensione viene versata anche a chi vive dietro le sbarre, è riuscito a risparmiare abbastanza per gli anni a venire. «Non è che mi piaccia vivere in prigione», continua. «Ma non ho alternative».
Quello di Toshio non è un caso isolato. Nel 1997 solo un crimine su 20 era compiuto da ultrasessantacinquenni in Giappone, nel 2017 il dato è cresciuto fino a oltre uno su cinque. Dei 2.500 over 65 condannati a pene detentive nel 2016, oltre uno su tre aveva più di cinque precedenti.
Anche Keiko, 70 anni, non aveva scelta: «Quando mi sono lasciata con mio marito non avevo più un posto dove vivere né i mezzi per sopravvivere. Così ho cominciato a rubare nella speranza di essere arrestata. In prigione ho incontrato donne di oltre 80 anni, che faticavano a deambulare ma che si erano messe a rubare perché non sapevano come tirare avanti».
«IL VERO PROBLEMA È LA SOLITUDINE»
Secondo una ricerca pubblicata in Giappone nel 2016, una pensione media è sufficiente per pagare affitto, cibo e prestazioni sanitarie. Restano fuori però voci come riscaldamento e vestiario. Il problema principale di questi anziani, soprattutto quelli che vivono in provincia, è che non hanno più familiari ai quali chiedere aiuto o, quando li hanno, abitano lontano. «I pensionati non vogliono essere di peso ai figli e preferiscono farsi arrestare», spiega il ricercatore Michael Newman. «In prigione servono tre pasti caldi al giorno e non si paga niente».
Secondo Kanichi Yamada, 85enne direttore del centro di riabilitazione per anziani usciti di prigione “Con Hiroshima”, «la povertà è solo una scusa. Il problema di queste persone è che vivono isolate. Non trovano più un posto nella società e non riescono a tollerare la solitudine. Gli anziani non commettono crimini se hanno qualcuno che si occupa di loro. In carcere non cercano solo da mangiare: cercano una compagnia. Purtroppo la società giapponese è cambiata e i rapporti sono sempre più fragili». Toshio conferma: «Se i miei figli mi rispondessero al telefono e riallacciassero i rapporti con me, non cercherei di farmi arrestare».
Secondo uno studio condotto dal ricercatore Newman, lo Stato dovrebbe costruire dei centri ricreativi dove fornire cibo, alloggio e compagnia agli anziani per metà della loro pensione. «Così risparmierebbe», spiega. «Se rubare un panino da 200 yen porta a una condanna di due anni di carcere, con un costo di 8,4 milioni di yen per lo Stato, il sistema non funziona».
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