Chiese bruciate dopo le elezioni più oneste della storia della Nigeria

Di Rodolfo Casadei
19 Aprile 2011
Le elezioni sono state vinte dal capo di Stato uscente Goodluck Jonathan. I sostenitori dello sfidante ed ex generale Muhammadu Buhari, che ha raccolto il 31 per cento dei voti, stanno seminando il terrore in alcuni dei più importanti stati del nord della Federazione nigeriana, bruciando case e chiese

Sono state le elezioni più oneste e libere della storia della Nigeria, benchè niente affatto perfette, ma non andatelo a dire ai giovani sostenitori di Muhammadu Buhari, l’ex generale che ha sfidato alle elezioni presidenziali il capo di Stato uscente Goodluck Jonathan e ne è uscito sconfitto raccogliendo soltanto il 31 per cento dei voti (12,2 milioni in cifra assoluta) contro il 57 per cento dell’avversario (22,5 milioni). Costoro da quattro giorni (i disordini sono iniziati sabato notte) stanno seminando il terrore in alcuni dei più importanti stati del nord della Federazione nigeriana (formata da 36 entità statali): Kaduna, Kano, Katsina, Taraba, il Territorio della capitale federale Abuja, Niger, Gombe, Adamawa e forse altri ancora.

Decine di chiese, case e negozi di immigrati dal sud (la regione di cui è originario il presidente rieletto Jonathan, nato nell’attuale stato di Bayelsa) sono state date alle fiamme, i morti hanno già superato il centinaio complessivamente, di cui 40 nella sola città di Kaduna. I commercianti ibo e di altre etnie del sud sono il bersaglio principale delle sommosse, ma non quello esclusivo: anche le case e le proprietà di importanti autorità nordiste sono state colpite. È il caso del vicepresidente Mohamed Namadi Sambo, dell’ex ministro dell’educazione ed esponente del partito di  Jonathan, il Partito democratico popolare (Pdp), Hajia Aisha Jibir Dukku, dell’ex presidente della Camera dei deputati Alhaji Ghali Umar Na’Abba e addirittura dell’emiro di Kano Alhaji Ado Bajero, la più importante autorità musulmana di tutta la Nigeria.

Il Pdp, infatti, è un partito di radicamento nazionale, che ha vinto tutte le elezioni dopo il ripristino della democrazia multipartitica nel 1999 e che, in base a una norma non scritta, alterna candidati del nord e del sud alla più alta carica del paese con la prospettiva che svolgano due mandati. Jonathan, che era vicepresidente, è salito al potere il 6 maggio dello scorso anno a causa del decesso di Umaru Yar’Adua, il presidente in carica originario del nord. Costui, eletto nel 2007, non ha potuto completare il suo mandato né concorrere per un secondo, e la palla è passata di nuovo al sud, che in Olusegun Obasanjo aveva avuto un presidente musulmano ma sudista (di etnia yoruba) fra il 1999 e il 2007.

I mesi che hanno preceduto le elezioni, Jonathan li ha dedicati a fidelizzare le élites nordiste del partito che gli dovevano portare non la vittoria, ma almeno il 25 per cento dei voti negli stati musulmani del nord (per essere eletti presidenti in Nigeria è necessario, oltre alla maggioranza assoluta dei voti, conquistare almeno un quarto dei consensi in almeno due terzi degli stati della Federazione).

Nel sud cristiano di cui è originario Jonathan era sicuro della vittoria, ma doveva impedire che il voto fosse disturbato da azioni violente dei vari gruppi armati locali di dubbia estrazione che da due decenni rivendicano una diversa distribuzione dei profitti del petrolio. Una legge di amnistia pochi mesi prima delle elezioni ha permesso di far rientrare nei ranghi, pompando milioni di dollari nelle tasche giuste, la totalità dei ribelli. Da qui il voto plebiscitario negli stati del Delta, con per centuali fra il 95 e il 99 per cento, che non sono piaciute ai militanti del Congress for Progressive Change di Buhari. Uno che non ha ancora condannato le violenze in corso.

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