«La “pillola del giorno dopo” è il vero pronto soccorso per chi non vuole abortire né subire un bambino non voluto», ha scritto Daniela Minerva su Repubblica dopo la decisione dell’Aifa di vendere il Norlevo senza ricetta alle maggiorenni. «Prossimo obiettivo l’abolizione dell’obbligo di ricovero di tre giorni per la Ru486 che continuo a non rispettare», ha commentato il ginecologo radicale Silvio Viale. È così che il femminismo e la battaglia radicale contro la vita, cominciata teorizzando la necessità di evitare gli aborti clandestini, giunge sempre più «verso la sua ultima e normale conseguenza con la decisione di vendere la Ella One (“pillola dei 5 giorni dopo”) senza prescrizione e di legalizzare la “kill pill” Ru486». Ossia l’aborto come diritto e quindi il “fai-da-te”. Elisa Focchi, titolare farmacista riminese e membro dell’associazione Pro-Farma, spiega a tempi.it perché «quella dell’Aifa non è una decisione con basi scientifiche».
Cosa intende?
Mesi fa, l’Aifa aveva già scelto di vendere senza ricetta la pillola “dei 5 giorni dopo”, sebbene essa abbia una efficacia d’azione abortiva maggiore del Norlevo. La scelta dell’Aifa sulla “pillola del giorno dopo” è quindi la logica conseguenza della decisione precedente. Una decisione che non ha fondamenta scientifiche e le cui conseguenze, che non conosciamo, potrebbero essere pericolose.
Ma l’Aifa non dovrebbe seguire il principio di precauzione?
Queste pillole, come dimostrano diversi studi, possono essere abortive. Non solo, un dosaggio incontrollato può essere pericoloso, come provato da altre ricerche, per la futura fertilità della donna. Basti pensare che la “pillola del giorno dopo” ha un dosaggio di progestinico dieci volte maggiore a quello contenuto nelle pillole contraccettive. Eppure questi studi non sono presi in considerazione, tanto meno dunque il principio di precauzione.
Come si è passati dall’obbligo di ricetta ripetibile alla totale assenza di prescrizione?
La decisione è stata così radicale da generare molte perplessità fra i farmacisti: basti pensare che nell’ultimo sondaggio di Federfarma è emerso che il 46 per cento degli intervistati era contrario alla decisione.
Come vi comporterete ora?
Questi farmaci hanno dei rischi abortivi, come ho spiegato, basti pensare che le gravidanze reali sono minori di quelle attese. Quindi chi non vuole non deve vendere la pillola, anche se la pressione di alcuni titolari sui farmacisti dipendenti può essere forte.
Come possono proteggersi i farmacisti?
Il Movimento per la Vita, l’associazione Giovanni Paolo XXIII, i farmacisti cattolici hanno dato vita a Pro-Farma per aiutare i farmacisti a difendersi dalle accuse o dalle intimidazioni. Basti pensare che il dottor Piero Uroda a Roma è stato denunciato dalle femministe perché si rifiutava di vedere la pillola. L’azione congiunta ha scongiurato almeno la condanna dei farmacisti denunciati. Ma purtroppo le spinte dall’alto restano enormi.
Da chi provengono queste spinte?
Come ho già spiegato, alla base della corsa alla liberalizzazione non ci sono motivazioni scientifiche. È quindi evidente che il problema sia politico: si vuole seguire l’Europa dove dominano le lobby abortiste. Ma credo che la ragione sia sopratutto economica: le pressioni delle case farmaceutiche sono enormi.
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