Caro direttore, Le scrivo in merito al Suo articolo comparso il 3 ottobre su tempi.it rispetto all’approvazione del “doppio libretto” nella seduta dell’8 Luglio del Senato Accademico dell’Università di Firenze.
Quando tutto è cominciato, per avere tutti i fattori, abbiamo cercato di capire. Ci siamo domandati: che cos’è il “doppio libretto”? Da dove nasce il problema? Il problema nasce dalla situazione concreta in cui si trovano gli studenti in via di transizione di genere (che, avendo deciso di cambiare sesso, hanno iniziato l’iter medico-chirurgico di trasformazione, ma non hanno ancora ottenuto la sentenza definitiva): si tratta della difficoltà e dell’imbarazzo – ad ogni appello d’esame e in ogni altra occasione di pubblico confronto con i compagni di corso – dovuti al contrasto tra il loro aspetto esteriore e il loro nome.
Nelle riunioni del 3 novembre 2014 e del 29 giugno 2015, in Commissione didattica si è posta la questione della tutela degli studenti che intraprendono il percorso medico per la “rettificazione di attribuzione del sesso”, secondo quanto previsto dalla Legge n.164, del 14 aprile 1982. Detta legge prevede, infatti,tutti i passaggi necessari per ottenere la riattribuzione legale del sesso, con la relativa modifica dei documenti dell’interessato/a, ma non prende in considerazione il periodo, che può anche essere di alcuni anni, nel quale il trattamento medico e psicologico si sviluppa e durante il quale l’interessato/a deve comunque affrontare la vita quotidiana nei contesti pubblici.
Il cosiddetto doppio libretto intende fornire all’interessato/a un’identità “alias” da usare nelle attività universitarie lungo tutto questo periodo. Il presupposto di tale soluzione, adottata in molti atenei, è che il libretto abbia esclusivamente una funzione di riconoscimento all’interno dell’ateneo, senza alcun valore legale fuori dell’ambito universitario. Il doppio libretto è uno strumento per attestare che un certo studente sta affrontando le cure per il cambiamento di sesso e per allineare il suo nome al suo aspetto. Qui la teoria del gender non c’entra.
La soluzione alternativa proposta dall’amministrazione, quella di una circolare che identificasse tali studenti, era ovviamente non percorribile perché lesiva della privacy e della dignità degli interessati. Il voto sul doppio libretto in Senato Accademico non era dunque un pronunciamento sulla teoria del gender, né un sì o un no sulla possibilità del cambiamento di sesso (già prevista da una legge italiana di più di trent’anni fa). Negare il doppio libretto avrebbe significato soltanto dire agli interessati: chi sceglie di cambiare sesso si arrangi! Non abbiamo condiviso questa posizione. E ci pare difficile condividerla.
Non ci siamo fermati qui. Abbiamo desiderato incontrare di persona lo studente che si trova nella condizione descritta(attirandoci per questo anche qualche critica). Non è stato per una strategia, ma per quella esperienza di fede che ci spinge a confrontarci a viso aperto con tutte le provocazioni e a guardare l’altro come noi siamo stati guardati. Abbiamo constatato che il «metodo dell’incontro» può aprire varchi anche in situazioni come questa. Lo studente transessuale è rimasto colpito proprio dal fatto che, invece che limitarsi ad affrontare il problema sotto il profilo istituzionale, “qualcuno per la prima volta si è interessato a me, nessuno l’aveva mai fatto”.
Giulio, Firenze
Grazie per il chiarimento caro Giulio, come ricorderai non ho discusso di nessuna teoria gender e ho solo espresso la mia personale perplessità circa il fatto che l’incontro, la condivisione, l’accoglienza dell’altro esigesse – almeno così sembrava emergere nella corrispondenza letta su Tracce – l’accondiscendenza alla filosofia di vita, diciamo così, dell’altro.
Adesso mi dai una spiegazione in linea con le leggi e i regolamenti giuridici, perché l’alternativa sarebbe stata quella della circolare, secondo te lesiva di privacy e dignità, oppure del “chi sceglie di cambiare sesso si arrangi!”. Tu dici che entrambe le alternative sono brutali. Io penso invece che ciascuno si debba assumere la propria libertà fino in fondo e che una comunità umana, una società, un’università, non è tenuta a far da balia e, quindi, ad assecondare la libertà desiderante di ciascuno. Perché, scusa, secondo i nuovi criteri ideologici che si trovano già diffusi nel circuito digitale, pare che i generi siano una cinquantina: cosa faremo, sosterremo al Senato accademico la necessità di dotare di “alias” lo studente che faccia richiesta del genere neutro o queer?
Prima serve una parola chiara, un giudizio che dica che c’è il maschio e c’è la femmina, che non esistono altre identità se non quelle indotte da disagio nella percezione di sé o, attualmente, dall’azione sovversiva di industrie, media e militanti ingaggiati nel “buttare sabbia” nel motore della società, per confondere e ingrippare comunità e istituzioni, famiglie e scuole: infine, per negare ogni evidenza e verità sull’uomo.
Se c’è questo giudizio poi sono anche più libero e anche più certo nel farmi amico e compagno di chiunque. Non sarò certo io a giudicare la sua personale esperienza, ma non sarò certo io nemmeno quello che gli batte la mano sulla spalla e gli dice “bravo, avanti così, con gli ormoni e le operazioni chirurgiche”. Sono tuo amico, ma non chiedermi né di approvarti, né di compatirti, altrimenti invece di essere tuo amico sarei solo un connivente, per sentimentalismo o vocazione crocerossina. “Qualcuno per la prima volta si è interessato a me, nessuno l’aveva mai fatto”. Bello. Ma perché non sia l’attimo fuggente questo incontro non può evitare – almeno da parte nostra – di avere come contenuto una proposta e una compagnia: di giudizio e di verifica nella vita dell’ipotesi cristiana. Ciao LA
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