A Pavia c’è un sindaco che è riuscito a tenere insieme il centrodestra e a candidarsi per le elezioni comunali del prossimo 25 maggio con buone chance di ottenere un secondo mandato. È anche riuscito a battere gli altri sindaci italiani in un sondaggio del Sole 24 Ore, risultando il primo cittadino più apprezzato di Italia. La stranezza? Alessandro Cattaneo, ingegnere trentacinquenne di Forza Italia, amministra una città che tendenzialmente ha sempre votato a sinistra. Settantamila abitanti (e trentamila studenti), nell’antica capitale del regno longobardo una buona parte dei cittadini lavora in ospedale o in università. Poi nel 2009 è entrato in scena l’ingegnere e, complici i guai della precedente amministrazione, è stato eletto al primo turno con oltre il 54 per cento dei voti. «“Il sindaco deve fare come i parroci”, ha detto papa Francesco», ricorda Cattaneo a Tempi. «Quando lo abbiamo incontrato come sindaci, ci ha invitato a stare in mezzo alla gente. È quello che penso di avere fatto in questi anni», spiega. Una «questione di metodo» che, secondo Cattaneo, gli ha assicurato la stima degli elettori.
«Pavia è un quartiere di Milano», scherza il primo cittadino forzista, «ma un quartiere di grande qualità». Benché separata dai campi del Parco Sud, «in treno, da Milano, ci si arriva in soli diciotto minuti». Vale la pena di una visita? «Se non altro, abbiamo il centro storico più esteso di Italia», dice ironico. Ma il turismo è una questione seria per una città come Pavia, «e l’amministrazione ci ha investito molto. Pavia aveva grandi potenzialità inespresse. Abbiamo iniziato a liberarlo con grandi mostre: in 15 mesi 150 mila visitatori sono venuti a Pavia per vedere Renoir e Monet. Hanno poi visto le nostre chiese, i nostri musei civici, le nostre bellezze artistiche». Questo è uno dei «fiori all’occhiello» dell’amministrazione, secondo Cattaneo.
L’altro vanto è «un’attività intensa di lavori pubblici molto sobria ma ben indirizzata», spiega il sindaco: «Piazza Minerva completamente rifatta, Piazza del Mercato, Piazza Petrarca», e poi ci sono altre opere importanti «come il restauro del Castello Visconteo e la creazione di un nuovo percorso sul Ticino che sta cambiando il modo di vivere il fiume».
Il terzo fiore all’occhiello «è un polo tecnologico che valorizza le relazioni fra università e imprese. D’altronde – spiega – la vocazione di Pavia, oggi è legata a terziario avanzato, università, sanità, e turismo. Dobbiamo riuscire ad aumentare le ricadute che questo indotto può generare». Il modello a cui guarda? «Un po’ alla spagnola Salamanca», dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco.
In vista delle elezioni, Cattaneo cerca di convincere gli elettori di sinistra. «In questi anni ho valutato le persone in base alle idee, ai progetti, non alla casacca». Ora allo stesso modo chiede di essere giudicato «sui progetti attuati e su quelli che voglio ancora fare». Un discorso simile a quello con cui Matteo Renzi ha dato la svolta “ecumenica” al centrosinistra, conquistando il favore – non si sa quanto fondato – di molti italiani. Fra il premier e il sindaco di Pavia si possono fare molti paragoni. «Ma non mi sento l’anti-Renzi», si schermisce. Non ha la fretta dell’ex sindaco fiorentino. Però, come Renzi con il Pd, anche Cattaneo, due anni fa, chiese a gran voce il rinnovamento del centrodestra. Parlò di “formattazione”. «Evidentemente il problema posto era giusto. Che il rinnovamento sia centrale per il centrodestra non ci sono dubbi. Però la battaglia va fatta da dentro, non da fuori», precisa, lui che è restato in Forza Italia. E nonostante le tensioni fra Ncd e Forza Italia, Cattaneo è riuscito ad alleare gli ex Pdl. «Andare uniti alle amministrative mi pare l’abc. Se non avviene è per colpa dei personalismi, non c’entra la prospettiva politica», dice.
E per quanto riguarda l’Europa? La divisione nel centrodestra fra europeisti e scettici è superabile? «Bisogna guardare a ciò che ci accomuna. Forza Italia non è un partito populista – conclude Cattaneo – guarda al Ppe e all’Europa, ma pensa che l’Italia a Bruxelles debba incidere. Non si può lasciare la palla alla Merkel».