«La sinistra sostiene che la legge sulla droga sia sbagliata. Ma dove? Il consumo di droga è già depenalizzato. Si vuole depenalizzare lo spaccio?». Carlo Giovanardi, senatore Ncd e difensore delle modifiche del 2006 alle norme del Testo unico sulla droga, sa che non è così semplice dimostrare che la legge Fini-Giovanardi abbia effetti negativi sulla società. «Quelle modifiche sono state utili contro lo spaccio e il narcotraffico. Inoltre non hanno riempito le carceri italiane di drogati, come qualcuno sostiene. I dati lo smentiscono: dal 1990 i tossicodipendenti in carcere sono diminuiti. E la legge del 2006 non ha alterato il dato», spiega. I tossicodipendenti sono circa il 27 per cento dei detenuti, «un numero che dipende non dalla legge», spiega Giovanardi, «ma dalla sua applicazione».
Cosa prevedono le norme per i tossicodipendenti condannati?
Che fino a 6 anni di detenzione si ha il diritto di non stare in carcere. Mancano le risorse economiche per pagare le terapie. Perciò molte persone che secondo la legge dovrebbero stare fuori dal carcere, vengono lasciate dentro. Il problema è di alcune Regioni che non pagano le rette degli istituti. Una soluzione al problema sarebbe vincolare una quota del fondo sanitario nazionale obbligando le Regioni a destinarlo agli istituti per la cura della tossicodipendenza. Per farlo c’è bisogno di trovare i soldi e non toccare la legge.
Secondo i sostenitori della depenalizzazione della marijuana la legge del 2006 ha criminalizzato chi si droga.
È una mistificazione. Il consumo personale non è affatto penalizzato in Italia. Chi si fuma uno spinello viene colpito solo con sanzioni amministrative come il ritiro della patente, del porto d’armi, misure dettate dal buon senso che vengono prese per evitare che chi si droga possa danneggiare sé o gli altri. Il reato è previsto soltanto per chi spaccia.
Perché allora si parla di depenalizzazione del consumo?
C’è una disinformazione enorme. Molti non sanno nemmeno che l’uso terapeutico della cannabis in Italia è già ammesso.
La legge del 2006 ha eliminato la distinzione fra droghe leggere e pesanti. Non è forzato assimilare uno spinello all’eroina o alla cocaina?
Non esiste alcun criterio sulla base del quale sia possibile fare una distinzione. Per i tossicologi e per le neuroscienze il principio attivo della cannabis non è “leggero” e produce patologie gravi, e persino le Nazioni Unite inseriscono la cannabis nella stessa tabella delle altre droghe nocive.
Anche altri prodotti nocivi per la salute vengono regolarmente venduti. Perché non legalizzare la vendita di marijuana, come ha fatto di recente l’Uruguay?
Oggi soltanto lo 0,1 per cento della popolazione italiana ha problemi con la droga, il 4 per cento se si conta anche chi ha fumato marijuana almeno una volta nella vita. Se si promuovesse la cultura dello spinello questa percentuale potrebbe aumentare fino a raggiungere quella dei fumatori, il 30 per cento. Vogliamo immaginare cosa accadrebbe se un terzo della popolazione italiana si drogasse? Una catastrofe sociale e sanitaria.
La legalizzazione della vendita ridurrebbe i proventi della criminalità organizzata?
È un discorso che non sta in piedi. Quando è finito il proibizionismo sull’alcool negli Stati Uniti, la mafia non è sparita. Ha investito in altri settori. La criminalità organizzata troverà sempre altri mercati sui quali investire.