Nella vita di tutti gli appassionati (a vario livello) di calcio, ha sempre soffiato, prepotente, il fascino del talento maledetto, del campione genio e sregolatezza. Quello che una volta aveva i calzettoni abbassati al pronti via (Mario Corso), quello che giocava solo nella striscia d’ombra sotto la tribuna (Zigoni), quello che se lo mandavi in tribuna godeva (Vendrame), quello calci, sputi e colpi di testa, bandiera rossa e pugno chiuso (Sollier), quello che ha studiato taekwondo (Ibrahimovic), quello che fa le imitazioni, le battute e dice che si è scopato 500 donne (Cassano), quello che ha l’orecchino, il tatuaggio del Che ed è amico di Fidel Castro (Maradona).
Il calcio è come la politica, a ogni fischio dell’arbitro o a ogni scampanellio del presidente di turno, comincia una partita in cui convivono atteggiamenti compassati e gesti unici. Veniamo affascinati da questi, da quelli che spezzano lo status quo, da quelli che si distanziano dalla normalità. Però, ed è questo il punto, nessuno ha mai vinto solo col genio, con un guitto, con un imbonitore, con un arruffapopolo. Alla fine, in un gioco di squadra, vince la squadra. Noi siamo attratti dai diversi, ma questi possono permettersi di esserlo perché gli altri dieci, invece, sono uguali. E quindi, a un certo punto dovrebbero darsi una regolata. Perché faccio questo discorso? Perché a me Balotelli mi ha rotto i coglioni.