Cari amici, adesso che sono finite le mie vacanze riprendo a raccontarvi le mie giornate. Credo che anche tutti voi abbiate seguito, chi più chi meno, le Olimpiadi. Io non solo le ho seguite alla tv, le ho proprio vissute. A mio modo, ovviamente, e cioè immobile nel mio letto a causa della Sla, ma completamente partecipe col cuore delle imprese dei nostri atleti.
Cioè, che vuol dire? Ora ve lo spiego.
Io ero con Tania Cagnotto sul trampolino mentre guardava sotto e si concentrava per il tuffo. Ero con lei anche a bordo vasca, quando piangeva teneramente per una medaglia sfuggita per un nonnulla.
Io ero con Josefa Idem sulla canoa, e pagaiavo con lei dal letto di casa mia. Mi sentivo proprio come lei, capace di fare qualcosa che nessuno direbbe possibile. Ritmo, grinta, gioia. Che donna la nostra Idem.
Io ero sulla pedana della scherma con le nostre fantastiche ragazze, sul campo di pallavolo coi nostri atleti, sul campo del tiro a segno. Ero sul kayak a fare lo slalom, ero – ebbene sì – pure lì a prenderle e a darle coi ragazzi e le ragazze del taekwondo e del pugilato. Ero sulle biciclette che ballonzolavano sui percorsi accidentati (manco fossero i marciapiedi di Sassari) ed ero sugli anelli, in splendida immobile solitudine come uno Yuri Chechi all’apice della forma.
Ero, in ogni sbuffo, in ogni respiro, in ogni movimento del corpo con gli atleti del nuoto di fondo. Ero con loro prima del tuffo in quelle acque torbide, ero con loro all’arrivo quando sull’agognata riva la vista si annebbia per la stanchezza e la felicità.
Ero con ognuno dei nostri atleti sul podio ad esultare, e con ognuno di loro a rammaricarmi quando la medaglia era sfuggita.
Ero in sala stampa quando Alex Schwazer, l’atleta che ha fatto la “cazzata” (scusate il francesismo) di doparsi perché voleva vincere, ha confessato le sue malefatte. Figlio mio, noi ti perdoniamo, ma la prossima volta… pensaci prima!
Oggi sono con gli atleti delle paralimpiadi e li seguo, li sento e li rivivo.
Amo lo sport per questo: perché forse, più di tante altre esperienze, permette immedesimazione. E non importa se tu in quel momento non puoi compiere il gesto perfetto del discobolo, esprimere la grazia della ginnasta, sentire il vento sfrecciare nelle orecchie come il duecentometrista. Lo sta facendo un altro per te e io mi sento con lui nel tentativo di spostare ancora un po’ più in là il limite della velocità, del lancio, del salto.
Lo sport è davvero una metafora della vita e io, che sono un atleta immobile (ma solo all’apparenza), voglio esserci a tutte le gare. E con spirito non totalmente olimpico e un po’ alla faccia di De Coubertin, dico che non vivo per partecipare. Ma per vincere.
Bacioni,
Susanna