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Viva Staino e Ichino. Che con una vignetta e una lettera hanno ben spiegato il caso Azzollini

Psicodramma a sinistra dopo il voto sul senatore Udc. Un plauso lo meritano il disegnatore dell'Unità e il parlamentare del Pd (l'unico a entrare nel merito delle accuse)

Redazione
31/07/2015 - 15:41
Politica
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staino-garantista-repubblicaPrendete il caso Azzollini e capirete perché in Italia il giustizialismo è duro a morire. Il Tribunale di Trani ha chiesto l’arresto del senatore Udc. Il Pd, inizialmente, ha preso posizione dicendo che avrebbe votato sì alla richiesta, poi ha lasciato libertà di coscienza sul voto e, a scrutinio segreto, ha “salvato” Azzollini risparmiandogli l’arresto. I senatori, dunque, dopo aver letto le carte, hanno ritenuto che le prove presentate dalla Procura non fossero così granitiche né atte a motivare una privazione della libertà di un parlamentare prima dello svolgersi del processo.
Cosa c’è di sbagliato in tutto questo? Nulla, anzi, andrebbe fatto un fragoroso applauso a quei senatori che, anziché comportarsi da semplici sottoscrittori idioti di ipotesi presentate dall’accusa, le hanno vagliate e giudicate. Non hanno detto – perché non era loro compito – che Azzollini è innocente, né gli hanno risparmiato il processo. Hanno detto che le prove presentate non erano sufficienti a motivare il carcere preventivo. In altri casi (Genovese, Lusi, Papa) è andata assai diversamente e i malcapitati sono finiti in gattabuia.

LA VIGNETTA DI STAINO. Quel che è interessante notare, a qualche giorno dall’evento, non è tanto lo psicodramma interno al Pd (che, a partire dalle grottesche dichiarazioni del vicesegretario Debora Serracchiani, si ritrova a chiedere «scusa» per non aver mandato una personain galera), quanto il fatto che nessuno si chieda: ma perché i senatori Pd non hanno votato per l’arresto? Perché, dopo aver letto le carte, non hanno ritenuto sufficienti le prove portate dalla Procura?
Invece è tutto un ruotare intorno alla questione, senza entrare nel merito. Prendete Repubblica, ad esempio. Oggi propone un’intervista grondante fiele a Felice Casson, pm e parlamentare Pd, che ripropone il logoro ritornello dell’Azzollini salvato perché «la casta è infastidita dai pm».
Non solo: viene presentata come “un caso” la vignetta di Staino apparsa ieri sull’Unità. “Un caso”? E dov’è il “caso”? Staino è costretto a giustificarsi: «Che c’è di strano? Evitiamo di cadere nella trappola di condannare immediatamente chi entra nel mirino dei magistrati, magari dopo anni si scopre che non c’era nulla di vero. C’è troppa accondiscendenza verso i giudici e io vorrei che quello che appare come un privilegio per un parlamentare fosse la normalità per tutti». Parole sante.

LA LETTERA DI ICHINO. Ancora più interessante è la lettera che un altro esponente del Pd, Pietro Ichino, ha inviato oggi al Corriere, e che il giornale ha nascosto in basso a pagina 23. Ichino fa quel che finora non ha fatto nessuno (né Casson, né Serracchiani, né Corriere, né Repubblica) e cioè dice perché, in base a quel che c’è scritto nelle carte, ha votato no all’arresto. Eccola di seguito:

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Caro direttore, nel Corriere di ieri mi ha colpito molto che nessun articolo, e neppure l’editoriale di Massimo Franco intitolato «Da giustizialisti a garantisti (solo per interesse)», fornisse alcuna notizia sugli argomenti sulla base dei quali il Tribunale di Trani chiede l’autorizzazione all’arresto del senatore Azzollini. Quel titolo e l’omissione di questa informazione essenziale sembrano dare per scontato che, in Parlamento, il voto «Sì» a una richiesta di autorizzazione all’arresto di un parlamentare possa soltanto essere espressione di «giustizialismo»; e il voto «No» soltanto espressione di «garantismo». Come se in questa decisione gli argomenti del giudice a sostegno della richiesta non avessero alcun peso. Le cose, per fortuna, non stanno così; e proprio il caso Azzollini, se si guarda bene ciò che è accaduto in Senato, lo dimostra.

L’8 luglio la Giunta per le Autorizzazioni ha approvato a maggioranza, anche con i voti dei componenti Pd, la proposta del relatore in senso favorevole all’autorizzazione all’arresto. Nei giorni seguenti alcuni senatori Pd non appartenenti alla Giunta — tra i quali il sottoscritto — si sono letti gli atti giudiziali, apprendendo che:

a) l’unica prova dell’accusa rivolta al senatore Azzollini di avere operato come «amministratore occulto» di una Congregazione di religiose finita in bancarotta è costituita dalla frase di argomento oltraggiosamente urologico rivolta alle medesime, ormai tristemente famosa; senonché di quella frase (drasticamente negata dall’imputato) non esiste alcuna prova degna di questo nome;

b) l’unico movente del comportamento di cui il senatore Azzollini è imputato, secondo il Gip, essendo escluso ogni scopo di lucro, sarebbe costituito da «interessi di tipo politico, costituendo la Congregazione un bacino di consenso politico-personale di notevole portata»;

c) l’altro comportamento che viene imputato ad Azzollini consiste nell’essersi adoperato in Senato per l’approvazione di norme di esenzione fiscale, delle quali anche la Congregazione avrebbe beneficiato. Nei casi precedenti ho votato a favore dell’autorizzazione all’arresto, non avendo ravvisato indizi di scorrettezza nell’operato dei giudici. Questa volta invece sono rimasto sconcertato, e con me diversi altri colleghi, da quella che ci è apparsa come una vera e propria confessione esplicita, nell’impianto accusatorio, della pretesa di mettere sotto controllo giudiziale proprio ed essenzialmente l’attività parlamentare. Per non dire dell’anomalia dell’arresto come misura cautelare, in una situazione nella quale il rischio di fuga appare nullo, e non si vede come possa temersi un inquinamento delle prove o la reiterazione del reato dal momento che l’amministrazione della Congregazione è attualmente affidata a un commissario. Abbiamo dunque ritenuto nostro dovere far circolare in seno al Gruppo le osservazioni di cui sopra, manifestando il nostro orientamento nel senso di un voto contrario. È accaduto così che l’orientamento prevalente del Gruppo, nel senso del «Sì» fino a venti giorni prima, si è spostato nel senso del «No». E non «per interesse» (in questo caso l’interesse politico sarebbe stato semmai quello di assecondare l’orientamento dal proprio elettorato nettamente prevalente, nel senso del «sì»), ma esclusivamente per considerazioni inerenti al caso specifico. E per senso di giustizia: il senatore Azzollini verrà processato come qualsiasi altro cittadino, ma da questo all’arresto preventivo del parlamentare in via cautelare ci corre davvero troppo.

A me sembra un episodio di buona politica. E, semmai, di difettosa informazione dell’opinione pubblica.

Tags: debora serracchianifelice cassonpietro ichinoTrani
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