
Un po’ di precauzione sui vaccini a Dna

Caro direttore, è sconfortante e sconcertante il clima di incertezza provocato dall’accumularsi di notizie contradditorie e non di rado approssimative sui vaccini anti Covid-19, in particolare sui rischi connessi al loro impiego.
Non c’è dubbio che le vaccinazioni, come dimostrato dalla storia dell’immunologia, sono l’intervento più efficace in assoluto per la prevenzione e in alcuni casi la sconfitta definitiva di molte malattie infettive.
È ragionevole dunque aspettarsi un risultato simile anche nei confronti del Covid-19. I vaccini tradizionali sono basati sull’impiego degli agenti infettivi inattivati/uccisi o vivi/attenuati oppure loro componenti.
Nella lotta al Covid-19 è stata introdotta una tecnologia innovativa mai impiegata precedentemente e basata sull’utilizzo di Rna o Dna. È essenzialmente per la novità dell’approccio che l’impiego di tali vaccini non è ufficialmente approvato dalle agenzie di controllo dei nuovi farmaci (Ema in Europa, Aifa in Italia, Fda negli Stati Uniti) ma autorizzato per uso emergenziale. Una posizione cautelativa visto che non si conoscono, ad esempio, la durata della protezione da essi conferita né gli eventuali effetti a lungo termine.
Per alcuni vaccini sono state superate le prime tre fasi della sperimentazione ed ora siamo alla fase IV degli studi, che avviene dopo la commercializzazione e che ha l’obiettivo di verificare l’efficacia e la sicurezza del vaccino nelle sue reali condizioni d’uso. I vaccini ad ora autorizzati, per quanto riguarda l’Europa sono quattro: due a Rna (Pfizer, Moderna) e due a Dna (AstraZeneca, Johnson&Johnson).
Per quanto riguarda Pfizer e Moderna il loro impiego appare sicuro quanto a effetti indesiderati ed efficace quanto a protezione da Covid-19. Problemi sono stati segnalati a seguito dell’utilizzo del preparato AstraZeneca, ora segnalati anche con quello della Johnson&Johnson. Si tratta di episodi di trombosi con trombocitopenia (diminuzione del numero di piastrine) frequentemente letali, che si presentano da 5 a 20 giorni dopo la vaccinazione con localizzazioni non usuali, associati ad emorragia intracranica.
Due articoli apparsi sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine dello scorso 9 aprile hanno studiato il fenomeno, proponendo una possibile spiegazione e lo hanno definito trombocitopenia trombotica indotta da vaccino (Vitt). Si tratta, è vero, di un evento raro, molto più raro degli episodi trombotici osservati ad esempio in chi assume la pillola anticoncezionale, nei fumatori, in corso di Covid o come afferma qualche luminare, nei viaggi aerei. E sulla base di questo si ripete quasi come un mantra… ma i benefici sono maggiori dei rischi.
Bisogna dire che non risulta che in seguito alla somministrazione dei molti altri vaccini approvati, alcuni obbligatori in età pediatrica, si verifichino episodi simili a quelli osservati con AstraZeneca. Quello che colpisce, almeno nei due studi citati, è l’intervallo di età dei colpiti da Vitt (22-54 anni) simile peraltro a quello dei casi riportati dai media; tutte persone in ottima salute.
Il paragone con i casi riportati nelle condizioni di rischio trombotico sopra citate non ha fondamento poiché questi riguardano persone di tutte le età e con probabili altri fattori di rischio aggiuntivi. Gli autori di uno degli studi citati concludono: «Anche se rara, la Vitt è un fenomeno nuovo con conseguenze devastanti per giovani adulti altrimenti sani e necessita di un’approfondita analisi dei costi-benefici. I risultati del nostro studio indicano che la Vitt possa essere più frequente di quanto riscontrato in studi precedenti in cui la sicurezza del vaccino AstraZeneca è stata studiata».
Non è da escludere che vaccini a base di Dna prodotti con la stessa tecnologia anche se con differenze nei vettori e nel Dna (Johnson&Johnson, Sputnik V, e l’italiano Reithera in corso di sviluppo) possano dare conseguenze simili all’AstraZeneca. Le ultime notizie su Johnson&Johnson, suffragherebbero questa possibilità.
Visto che ci sono i vaccini a Rna alternativi, non sarebbe più saggio potenziarne la produzione e nel frattempo sospendere l’impiego dei vaccini a Dna in attesa di ulteriori verifiche?
Pietro Dri
(Già professore ordinario di Patologia Generale – Università di Trieste)
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