Un modello di flat tax per evitare una «guerra fiscale internazionale»

Di Francesca Parodi
29 Giugno 2017
Francesco Forte, ex ministro delle Finanze, spiega perché un'aliquota troppo bassa sarebbe una mossa azzardata per l'Italia. «Dovremmo mantenere la divisione in scaglioni»

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Abbassamento delle tasse e semplificazione del nostro sistema tributario. È questo il principale obiettivo della proposta avanzata dall’Istituto Bruno Leoni per promuovere una riforma fiscale nel nostro paese. Il cuore della proposta prevede la flat tax, una sola aliquota fissata al 25 per cento per tutte le principali imposte del nostro sistema tributario, l’abolizione di Irap e Imu e la ridefinizione delle modalità di finanziamento di alcuni servizi pubblici come sanità e istruzione (si mantiene la gratuità del servizio per la maggior parte dei cittadini, ma si imputa solo ai più abbienti il costo in termini assicurativi).
In questo periodo se ne sta discutendo molto, in particolare sul Sole 24 Ore che ha avviato il dibattito, ma in realtà la flat tax è oggetto di discussione da diversi anni, per esempio nel 2014 Silvio Berlusconi propose un’aliquota unica al 20 per cento.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]UN’ALTRA PROPOSTA. Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e professore universitario, ha deciso di avanzare, insieme al suo collaboratore Domenico Guardabascio, una nuova proposta di riforma fiscale, aggiornando proprio quella di Berlusconi di tre anni fa. Forte concorda sulla necessità di semplificare il nostro sistema tributario, ma parlando con tempi.it fa notare un punto di debolezza del sistema studiato dall’Istituto Bruno Leoni: «La loro proposta di flat tax non si basa sulla divisione dei contribuenti in scaglioni di reddito. Bisogna invece calibrare il sistema per evitare che nelle fasce più basse si abbia un aumento di imposta». Forte e Guardabascio hanno raccolto li dati delle dichiarazioni dei redditi dal ministero delle Finanze e, mantenendo la divisione dei contribuenti per scaglioni, hanno studiato un modello di flat tax. «Avendo a disposizione i dati delle dichiarazioni e lavorando sulle norme tributarie, siamo riusciti a fare un lavoro operativo, un passaggio che all’altro modello manca».

IMPOSTA PROGRESSIVA. La proposta di Forte e Guardabascio è quella di mantenere un’imposta progressiva nelle fasce basse. Fino a 50 mila euro rimarrebbero le attuali detrazioni previste e dovrebbe esserci una pressione generale minore. Dai 50 mila ai 90 mila euro verrebbe applicata un’aliquota del 23 per cento che diventerebbe del 24-26 per cento con il contributo sanitario. Infatti per i redditi al di sopra dei 50 mila euro si adotterebbe un moderato contributo sanitario che salirebbe progressivamente con l’aumento delle fasce, dall’1 al 3 per cento fino a 90 mila euro e del 7 per cento per le fasce da 90 mila euro in su. Al di sopra dei 90 mila euro si rinuncerebbe alle detrazioni e ci sarebbe un’aliquota del 30 per cento (contro l’attuale 43 per cento). L’importo attuale delle detrazioni, spiega Forte, dà una perdita di gettito di ben 66 miliardi. Con questo modello e l’eliminazione delle detrazioni al di sopra dei 50 mila euro di reddito si stima una perdita di gettito di 6 miliardi circa, che sarebbero solo lo 0,3 per cento sul Pil del 2018.

EQUILIBRIO. Quando si parla di sistema fiscale bisogna anche considerare le implicazioni che esso ha nei rapporti con i paesi esteri. Forte è convinto che adottare un’aliquota troppo bassa sarebbe, per un paese indebitato come l’Italia, «una mossa azzardata e rivolta ad attrarre capitali dall’estero, perché gli stranieri avrebbero interesse a trasferire la loro residenza in Italia. Il sistema da noi elaborato serve, più che per una parità di gettito, per un equilibrio di guerra fiscale internazionale».

@fra_prd

Foto Ansa

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