
Per 36 giorni Oleksandr Shutov è stato rinchiuso in una cella che i russi utilizzavano come camera delle torture nella città di Balakliya. Qui ha subito sevizie di ogni tipo insieme a centinaia di altre persone incarcerate durante i circa sei mesi di occupazione russa. La città di 30 mila abitanti della regione di Kharkiv era stata occupata il 3 marzo e liberata dalla controffensiva ucraina l’8 settembre. È solo allora che storie come quella di Shutov, raccolta da Der Spiegel, sono venute a galla.
La camera delle torture di Balakliya
La camera delle torture di Balakliya è solo una delle dieci trovate dall’esercito ucraino nelle città liberate durante la controffensiva. Era stata predisposta sulla strada principale in un edificio di due piani, sede prima della guerra della casa editrice BalDruk. Un’altra si trovava nell’edificio di fronte, all’interno della stazione di polizia. Non meno di 40 ucraini si trovavano rinchiusi contemporaneamente ogni giorno in diverse celle, secondo gli investigatori.
Quando le prime bombe sono cadute nella regione di Kharkiv a febbraio, il 22enne Shutov si è rifiutato di scappare da Balakliya, al contrario di molti suoi amici, soprattutto per prendersi cura delle nonna, Svyeta. Il giovane non sa perché i russi siano arrivati a casa della nonna il 3 agosto per arrestarlo ma è quasi certo di essere stato denunciato da un collaborazionista ucraino. La mamma di Shutov, infatti, viveva in fondo a via Gogol, dove i russi avevano posizionato un lanciarazzi multiplo. Il giovane era stato avvistato spesso da quelle parti e i russi probabilmente temevano fosse un informatore dell’esercito di Kiev.
I 36 giorni in cella di Shutov
Shutov ha passato 36 giorni nella cella numero uno, al buio, insieme ad altri otto prigionieri che si dividevano i due letti disponibili. La stanza brulicava di insetti. Durante i primi due giorni non ha ricevuto niente da mangiare, in seguito i soldati portavano una zuppa o del porridge «pieno di vermi».
Durante i primi 26 giorni ha convissuto con le grida di altri prigionieri, che venivano torturati nella cella degli interrogatori vicino alla sua. Alcuni venivano tormentati con scosse elettriche, altri con pestaggi. Un giorno, uno dei suoi compagni rientrò in cella dopo l’interrogatorio senza un orecchio. Secondo altre testimonianze raccolte dal giornale tedesco, alcuni detenuti sono stati uccisi durante la prigionia, ma Shutov non è in grado di confermare.
«Non so quanto è durato, sono svenuto»
Il ventisettesimo giorno di prigionia è giunto il turno di Shutov: lo hanno portato nella camera degli interrogatori, hanno collegato cavi elettrici alle sue dita producendo scosse in tutto il corpo. «Mi chiedevano se mio padre aveva combattuto nell’esercito e non credevano alle mie risposte. Non so quanto è durato, so solo che a un certo punto ho perso conoscenza», racconta il giovane.
Il 6 settembre, mentre infuriavano gli scontri tra l’esercito ucraino e quello russo, le guardie cominciarono ad abbandonare l’edificio utilizzato come prigioni. Due giorni dopo, Shutov insieme agli altri detenuti furono in grado di uscire.
Gli inquirenti ucraini hanno già raccolto migliaia di storie come quella di Shutov e parlano di 34 mila casi di crimini di guerra e contro l’umanità documentati. A circa un mese dalla liberazione della città, il giovane ancora non riesce a dormire, si sveglia di notte in preda al panico ed è continuamente in ansia. Anche se i russi se ne sono andati, ha paura: l’orrore dell’occupazione di Balakliya è ancora troppo vivo nella sua memoria.
Foto Ansa