Tentar (un giudizio) non nuoce

L’Ucraina non è solo guerra, ma fame di vita

Di Raffaele Cattaneo
08 Marzo 2025
Un incontro in Regione Lombardia mi ha aiutato a rendermi conto che il Paese non ha bisogno solo di armi ma di aiuti per essere pronto quando il conflitto finirà

Un giorno intero ad approfondire e discutere la ricostruzione dell’Ucraina. È quanto abbiamo fatto questa settimana in Regione Lombardia durante il business forum preparatorio della Ukraine Recovery Conference che si terrà a Roma nel prossimo mese di luglio. Oltre 700 partecipanti, di cui più di un centinaio ucraini e altri da 22 Paesi del mondo si sono confrontati in diverse sessioni tematiche dalle 10.30 alle 20.30 su come contribuire alla ripresa dell’Ucraina, parlando di economia, energia, materie prime, terre rare, infrastrutture, manifattura, piccole imprese, collaborazioni fra territori, ecc.

La sessione di apertura, con gli interventi del nostro vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani, della vicepremier Ucraina Yulia Svyrydenko e del presidente lombardo Attilio Fontana ha fatto il punto anche sulla situazione geopolitica, dopo il drammatico confronto tra Trump e Zelensky e sulla volontà ma anche le condizioni per arrivare alla pace.

Non è solo guerra

Ciò che mi ha colpito di più, durante questa giornata di ascolto e incontri bilaterali, è molto distante dalla percezione che io per primo, ma penso tutti noi, abbiamo dell’Ucraina guardando la tv e i social o leggendo la stampa. Siamo abituati a vedere e pensare l’Ucraina innanzitutto e forse persino esclusivamente come un Paese in guerra. Le immagini che immediatamente ci saltano agli occhi sono quelle delle distruzioni belliche: palazzi sventrati, auto distrutte, incendi, morti e feriti, purtroppo non solo al fronte. Questo è certamente vero e tragico. Ma non è tutto qui.

Non siamo abituati a pensare che in Ucraina vivono ancora 35 milioni di persone che ogni giorno vanno al lavoro, a scuola, che devono fare la spesa, che sono preoccupati della qualità delle loro città e della prosperità della loro economia, quindi anche ora costruiscono edifici residenziali e capannoni per le loro fabbriche, ma anche parchi, teatri, centri sportivi, oltre che ospedali, centri per disabili o infrastrutture energetiche, che certo sono prioritarie.

Adesso, non quando finirà

Nei loro volti, molti dei quali giovani anche nelle posizioni di responsabilità, nelle loro persone che sfidano la guerra cercando di usare anche di essa per cambiare il proprio Paese, per mettere a terra la transizione ecologica e quella digitale come vorremmo fare noi qui, non c’è solo volontà e fierezza, ma c’è fame di vita! Gli ucraini cercano, oltre alla pace, la sicurezza, cioè qualcuno che, come un bambino, cammini con loro nel tempo della rinascita e non li abbandoni. Succede sempre così dopo una guerra: pensiamo all’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale. Vincitori e vinti hanno avuto bisogno degli Stati Uniti e del loro Piano Marshall per rinascere.

Oggi ci sono città che stanno ridefinendo il proprio masterplan pensando a valorizzare le aree del riverfront (la zona a bordo fiume), perché vogliono che la loro terra continui a essere bella e apprezzabile; altre che stanno realizzando aree sportive per i giovani, perché possano godere del piacere della competizione sportiva. Persino nelle zone più vicine al fronte questa voglia di vita prende forme creative e innovative, come la costruzione di scuole che si estendono per tre piani sotto terra anziché fuori terra a Zaporižžja, così sono più sicure e moderne, ma anche «meno tristi e noiose di quelle costruite nel periodo sovietico».

Sono rimasto sorpreso dalla mia incomprensione. Ma certo: l’Ucraina non ha bisogno solo di armi e missili – anche quelli per potersi difendere dai droni e dai bombardamenti (24 mila solo negli ultimi due mesi e solo nell’Oblast di Zaporižžja) – e neppure solo di un cessate il fuoco, che pure vogliamo con tutte le forze al più presto; ma ha bisogno di bellezza e di speranza! Ora, non quando la guerra finirà!

Essere pronti

Per questo, insieme all’aiuto umanitario, al supporto psicologico, all’assistenza sanitaria, dobbiamo offrire loro collaborazione economica, investimenti, joint venture imprenditoriali, e anche iniziative di collaborazione culturale, spettacoli nei teatri, mostre, concerti. Perché questo è il segno di una vita che continua e che guarda al domani, non solo all’oggi. Una vita che spera e desidera, prima risposta autentica a chi vuole solo morte e distruzione.

«Anche questa guerra, come ogni guerra, finirà – mi ha detto un’ospite Ucraina – e noi per quel giorno dobbiamo farci trovare pronti!».

È proprio vero che il cuore dell’uomo è fatto per sperare e che nessuna tragedia può spegnere questo desiderio, origine e motore di ogni cambiamento. Come insegnava don Luigi Giussani, è il desiderio ciò per cui uno si mette in moto e cerca un lavoro migliore o un divano più comodo. Questo desiderio per Giussani è anche l’origine della buona politica, che sostiene ogni tentativo di risposta, nato dalla iniziativa personale e sociale.

Grazie amici ucraini per avermelo ricordato in modo così eloquente.

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