Non usate le tragedie per distruggere l’alleanza tra scuola e lavoro

Di Chiara Frigeni
18 Febbraio 2022
Dispiace vedere che due incidenti fatalmente accaduti in un momento di formazione, vengano utilizzati per screditare un metodo educativo prezioso quale quello del tirocinio
Un momento della manifestazione degli studenti a Torino, 4 febbraio 2022.
Un momento della manifestazione degli studenti a Torino, 4 febbraio 2022.

Caro direttore, mi permetto di scriverle a seguito dei recenti tragici fatti di cronaca che hanno rimesso al centro del dibattito mediatico, in modo – ahimè – strumentale ed ideologico, il tema dell’alternanza scuola lavoro e dei tirocini. Mi permetto di scriverle dopo aver saputo che un mio allievo da domani non avrà più la possibilità di proseguire la sua esperienza in stage perché la sua azienda, preoccupata da come l’opinione pubblica sta descrivendo i tirocini, non se la sente di continuare ad accoglierlo.

Lo faccio alla luce della mia esperienza ventennale all’interno di un centro di formazione professionale, In-Presa a Carate Brianza (Mb), che ha fatto e fa dello stage all’interno delle aziende e del rapporto stretto con il mondo del lavoro uno dei cardini della propria proposta educativa e formativa.

Mi dispiace molto e mi rammarica vedere che due tragedie, due incidenti fatalmente accaduti in un momento di formazione, vengano utilizzati per screditare un metodo educativo prezioso e significativo quale quello del tirocinio.

Nel nostro centro di formazione accogliamo numerosi ragazzi, tanti di essi hanno abbandonato la scuola e ne sono spesso usciti sconfitti, disillusi ed amareggiati. Imparare sul banco, dai libri o ascoltando un professore parlare non fa per loro. Si tratta di ragazzi anche cognitivamente svegli, che hanno bisogno di una metodologia diversa, hanno bisogno di un approccio all’apprendimento non convenzionale. Per loro il tirocinio rappresenta esattamente questa possibilità, rappresenta un’occasione di crescita umana e professionale determinante.

In questi anni in cui si sollecita una didattica alternativa, una didattica che metta al centro gli allievi e sia in grado di incontrare le caratteristiche personali di ciascuno e di potenziarle (basti pensare agli innumerevoli piani didattici personalizzati che si producono nei diversi consigli di classe), si demonizza e si cerca ancora di mettere in dubbio uno dei metodi di formazione più efficaci che permette a questi ragazzi di mettere a frutto i propri talenti?

Nelle tesine in cui nostri studenti descrivono il loro percorso formativo di tre anni c’è una sezione dedicata proprio alle esperienze di tirocinio.

Inviterei volentieri gli esponenti del Fronte della gioventù comunista, che per il 18 febbraio hanno indetto una mobilitazione studentesca, a ricercare tra gli scritti dei nostri ragazzi tracce di quella «scuola che hanno voluto governi e padroni» contro cui scendono in piazza.

Credo resterebbero delusi da quei racconti che parlano di tutor aziendali capaci di accoglierli, di dare loro tempo prezioso, di  mettere da parte la “logica del profitto” per insegnare con pazienza a loro, giovani e inesperti, un mestiere che amano e che hanno desiderio di trasmettere.

Credo resterebbero delusi da quelle pagine in cui i ragazzi raccontano di quanto hanno capito, di quanto nel “metter mano” sia stato loro più chiaro e lampante quello che il professore con insistenza a scuola cercava di spiegare. Un nostro alunno ha sintetizzato in modo mirabile questa esperienza di conoscenza nuova con una frase che è diventata il manifesto di ciò che accade in stage: «Ho imparato il sapere dal saper fare».

Credo, inoltre, che resterebbero delusi nel leggere di come l’esperienza del tirocinio sia stata l’esperienza di rapporti con tutor aziendali che sono diventati veri e propri punti di riferimento, di colleghi che sono stati adulti da seguire, guardare, di persone grandi che sono diventati amici con cui nel tempo libero poter andare a fare una partita di calcetto e con cui condividere la vita. Si tratta degli stessi adulti che non hanno risparmiato loro fatiche, che non hanno lesinato richiami, che non hanno fatto mancare rimproveri dovuti e doverosi.

Sono certa che se Luca Redolfi, coordinatore dell’unione degli studenti, incontrasse i nostri ragazzi dicendo loro di scendere in piazza con lui per chiedere l’abolizione degli stage e per chiedere che quel sistema unicamente volto “al profitto ed allo sfruttamento” cambi una volta per tutte, lo guarderebbero straniti.

Questi ragazzi, grazie al tirocinio, hanno imparato un mestiere e sono diventati uomini e, soprattutto, hanno imparato che il lavoro non è schiavitù ma è la possibilità di essere preziosi, di essere di aiuto ad altri uomini, di essere protagonisti della costruzione del mondo.

Chiara Frigeni, preside Cfp In-Presa di Carate Brianza

Foto Ansa

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