Tina Venturi. L’immensità di ogni dettaglio

Di Caterina Giojelli
15 Aprile 2021
Lo sguardo attento e appassionato della storica direttrice e anima della scuola La Zolla di Milano, scomparsa un anno fa. Elegante Spartaco di un popolo con il pallino di un’educazione libera, bella, totale, «mai neutrale»
Tina Venturi

I suoi occhi hanno molto amato, è impossibile, parlando di Tina Venturi, sbarazzarsi di cosa Tina vedesse nell’amicizia con don Luigi Giussani o negli scritti di Romano Guardini. E non è facile nemmeno girarci intorno, a quella sua idea così totalizzante di ordine e bellezza, di ogni bambino «fatto bene e per il bene», cioè per un orizzonte così grande da dare significato al più infinitamente minuto dei dettagli. Fino all’ultimo, piccino, capello di bambina raccolto in un fermaglio. 

Tina Venturi non è stata solo la storica direttrice della scuola d’infanzia La Zolla di Milano: Tina, al secolo Clementina Bramieri, è stata La Zolla, uno Spartaco d’innata classe e gusto di una scuola libera e di un popolo libero. Lo è stata per migliaia di bambini che hanno visto la loro più viva speranza – «essere guardati da qualcuno che vuole loro bene e vuole il loro bene» – elevarsi a sfida irrinunciabile di un’educazione in cui tutto (il sé, l’altro, il corpo, le parole, il disegno, il canto) si faceva avventuroso campo di esperienza. Per i piccoli sì, ma anche per genitori ed educatori. Lei così bella, fiera, affacciatasi a Milano dal Piacentino negli anni Settanta per lavorare e abilitarsi all’insegnamento, sarebbe diventata presto sposa e mamma in una città che non regalava solo postumi della contestazione e cupe prospettive di droga e terrorismo: qui aveva conosciuto Gian Pietro, Giussani, Comunione e liberazione, aveva iniziato ad aiutare gli otto selvaggi di 6 anni che facevano classe nella canonica di don Antonio Villa in San Babila, mentre madri e padri che avvitavano banchi regalati dalle parrocchiane si chiedevano se quella creatura ardita potesse davvero chiamarsi scuola. 

Attorno a quegli otto bambini si sarebbe fatto le ossa un popolo giussaniano, una cooperativa, una convenzione di parifica: si sarebbe fatta insomma la scuola libera La Zolla e lei, Tina, dal 1985 al 2018 direttrice con funzioni di coordinamento didattico per le sue sempre più numerose classi e sedi, avrebbe fatto spazio in un grandioso progetto educativo al desiderio di ogni bambino: essere guardato e conoscere con tutta la sua persona. 

Tutto alla Zolla ha gridato bellezza, quante braccia ci tendono ora le sue lettere, i suoi scritti sull’educazione, braccia come spalancate sulla croce di un brutto male che Tina portò per mesi fino al 7 aprile 2020, quando se ne andò tra quelle sicure della gioia e della resurrezione, le braccia dei suoi figli Caterina e Pietro e dell’amore della sua vita e del suo cammino, Gian Pietro. Lasciando un popolo disarmato eppure capace, nella sovrabbondanza dei ricordi, di arrendersi alla più bella delle verità: «Tutto quello che abbiamo imparato è stato grazie a lei». 

Sempre la prima ad arrivare

Ma cosa vedeva Tina con quegli occhi che molto hanno amato? Guardando il bambino, concependolo «come soggetto vivo e attivo, con una sua dotazione originaria e con la sua storia, capace di libertà anche a tre anni», Tina educava anche le sue maestre. Era la prima ad arrivare, sprimacciare grembiulini, raddrizzare etichette sugli armadietti, la prima ad accogliere ciascun piccolo assonnato, elegante e gentile come arrivasse il più importante degli ospiti: «Educate il loro sguardo a saper vedere, scoprire le cose più grandi e la perfezione in quelle più piccole, curate la vostra proposta, non siate mai neutrali e mettetevi in gioco inoltrandovi insieme a loro nella scoperta di ciò che fa grande la vita e degna di essere vissuta», sollecitava le maestre della prima ora, Ivana, Enrica, Carlina, Cocca, Giovanna, Daniela. «Lavorate tenacemente costruendo sempre: state rispondendo a una chiamata, a una vocazione!», scrisse alle educatrici nel 2018, quando andò in pensione. 

Il 7 gennaio scorso, con una cerimonia e una targa, il popolo della Zolla ha intitolato a Tina Venturi la sede di via Carcano. C’erano bimbi, mascherine, i suoi amici, il marito Gian Pietro, i figli Pietro e Caterina e i tre amatissimi nipoti, la piccola Bianca, Giorgio e la più grandicella, Beatrice. Bea che a tre anni arricciava il suo naso bellissimo, ed era tutta sua mamma Cate mentre nonna Tina le divideva con cura e pettine i capelli d’oro e sgocciolanti acqua salata. «Mamma, siamo al mare», obiettava Cate con Giorgio che spernacchiava in braccio. «Sì, siamo in un bellissimo posto», rispondeva Tina domando le ciocche della nipote con un fermaglio. Bea saltava giù dal lettino lisciandosi il codino soddisfatta e Tina l’accompagnava con grazia per mano tra le onde.

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