Come ci nutre TikTok, il “cattivo” dei social network che tutti vogliono imitare

Di Renato Calamo
24 Novembre 2021
Personalizzazione e algoritmi predittivi del social cinese. C’è foraggio “per te”, mucca illanguidita: è la Grande Rassegnazione
Una ragazza cinese guarda il suo smartphone nelle vie di Shanghai (foto Ansa)

Non la persona, la personalizzazione è l’ossessione degli algoritmi predittivi. Data scientist, Data Analyst, Data Cruncher, le nuove professioni hanno sempre a che fare coi dati, evoluzione digitale dei «contatti, mi devi dare i fottuti contatti!», come sbraitava Al Pacino nelle vesti del venditore senza scrupoli in quel capolavoro di “Americani” (1992, gratis su Amazon Prime, da farsi due belle risate con l’ormai defunto stereotipo del macho incravattato self-made man, di una simpatia superlativa).

Così TikTok ci nutre

Personalizzare vale per ammaestrare, su da bravo, dai che ti piace, ora vai a cuccia. C’entra l’animale e non la persona, perché personalizzare è per il marketing colmare la misura d’istinto. Così funziona il cattivo dei social network, quello che non si è ancora capito, lo strambo-pericoloso della compagnia: TikTok. E visto che funziona alla grande, crescita verticale, tutti gli altri sono ossessionati dall’imitarlo. Così si fanno i dollaroni, amico. Il meccanismo si chiama For you feed letteralmente “nutrimento per te”, dove feed è il termine tecnico che indica tutto ciò che compare nella schermata principale di qualsiasi social network. Tutto ciò che vedete quando aprite Facebook, Twitter e compagnia e scrollate col dito, quello è il vostro feed, il vostro foraggio, e più vai col dito, più ti rimpingui, maiali e scrofe dénudé compresi.

Nessuna coppia di utenti vedrà mai gli stessi video nel For you feed, e i video che guardi cambiano nel tempo, basandosi sulle tue preferenze e persino sul tuo momentaneo stato mentale. Come ha detto l’attrice Amy Poheler di recente: «La mia TikTok page mi dice davvero in che stato mi trovi mentalmente. Capisco di essere lievemente depressa dal fatto che mi compaiono video di soldati e dei loro cani persi durante la guerra». È il bello dei prodotti asiatici che hanno sfondato in occidente, TikTok, le lavanderie e Squid Game, come in ogni ChinaTown che si rispetti, ci trovi cani e porci.

La piattaforma sceglie per te

La personalizzazione “For you” funziona alla grande per una semplice ragione: tu non devi mai scegliere, la piattaforma sceglie per te, TikTok ti anticipa sempre, parafrasando il papa, è lì che ti aspetta. O parafrasando Mao e la sua discendenza, lascia che sia TikTok, come lo Stato, a pensare al posto tuo. Siamo al complottismo internazionale, un grande classico.

Eppur tuttavia, «l’illanguidimento (languishing) è l’emozione dominante del 2021» dice lo piscologo Adam Grant sul New York Times, appassisci e scrolla bel fiore. Credo bene, fatti due anni chiuso in casa con quei servi muti degli algoritmi predittivi, sul lungo termine forse è meglio un coinquilino che russa o un marito con flatulenze o persino un bebè che strilla senza requie. Ma meglio di no, per carità, troppa vita nel secolo dello spegnimento programmato. Meglio pascolare i nostri i nostri feed quotidiani con l’occhio languido del vitellone. L’ode del Quitting, della rinuncia, l’ha fatta sempre il New York Times (l’americano perde la cravatta ma non la predica), in un video in cui ci spiega perché siamo nell’era della “Grande Rassegnazione”. È finito il tempo dello stoicismo atlantico e atletico, del die hard duri a morire o “mola mìa” nella trasposizione atlantica. Ora siamo languidi. Eroina in questione: Simone Biles, la formidabile ginnasta americana che a luglio si ritirò da tutte le gare olimpiche in corso, per concentrarsi sul suo benessere mentale.

Tutti sull’orlo dell’abisso

Il resto del video, manco a dirlo, è una terapia collettiva, in cui degli americani si spaventano di quanto siano americani e, seguendo l’esortazione “confondi te stesso”, si colpevolizzano. Non solo però. Danno anche dei dati, perché “Grande Rassegnazione” è anche l’etichetta che è stata affibbiata al fenomeno per cui milioni di lavoratori negli Stati Uniti, dall’aprile 2021, hanno cominciato volontariamente a rassegnare le dimissioni. Fenomeno complesso, ci sono in ballo anche mancanza di adeguate protezioni e stagnazione dei salari, ma a fare da padrone, al solito, è la salsa di condimento psicologica. Che sarebbe comunque stupido liquidare a bazzecola, senza colpo ferire. Il virus, la precarietà e la danza della morte, ci hanno spinto tutti sull’orlo dell’abisso che è la vita, e ora la domanda che in tutti risuona, americani, siciliani, norvegesi o veneti è “a che giova?”. Domanda detonatore, che direzionata con un buon filo alla dinamite giusta è in grado di mettere a ferro e fuoco il mondo.

Calma, ma quale mondo? Macché, qui il punto sei tu, il tuo disagio, il fatto che sei abbacchiato, guarda come ti personalizzo due cani militari in crisi d’abbandono, anche tu sei solo, peggio di un cane, te lo ricordi? Lascia stare, guarda questa ragazze pompon, o questa bella drag queen (contenuti profilati alle preferenze).

Siamo a un algoritmo predittivo di distanza dal testare la capacità nucleare di una domanda all’Iper-Uranio, di foraggio non c’è alcun bisogno.

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