
La prima scena di The Land of Dreams è la guerra. Ma cosa ci fa una ragazza che suona il pianoforte nel bel mezzo di un campo di battaglia sul fronte francese della Grande Guerra, nel 1918? E perché un soldato americano le va incontro, nonostante gli ordini che ha ricevuto siano quelli di mantenere la posizione? Qualcuno deve andare a prenderlo e riportarlo indietro, prima che sia troppo tardi. La seconda scena è un’esplosione di musica nella New York del 1925, un lunghissimo pianosequenza che dai cieli della Grande Mela si infila al Choo Choo Train, locale in cui ogni sera si suona e si balla e in cui Eva, una ragazza italoamericana interpretata da Caterina Shulha, lavora come lavapiatti ma sogna il palcoscenico di là dalle porte che dividono la cucina dalla sala da ballo. New York è la terra dei sogni, ma – canta Eva, povera e con una famiglia di migranti, la sua, da aiutare – «non esiste nessuna terra dei sogni, non ho più desideri, non ha senso nemmeno provarci».

Il cliché rovesciato
Per capire di che cosa stiamo parlando quando parliamo di The Land of Dreams, musical di Nicola Abbatangelo prodotto da Lotus Production con Leone Film Group, Rai Cinema e 3 Marys Entertainment, nelle sale dal 10 novembre e presentato in anteprima alla Festa del cinema di Roma tra lunghi e fragorosi applausi del pubblico, si deve partire dalle parole di George Blagden, attore inglese protagonista del film, famoso per avere recitato in Les Misérables e nelle serie tv Vikings e Versailles: «La mia impressione è che questo film sia molto diverso da altri realizzati in questo momento. Rappresenta un vecchio stile di fare cinema, ma anche qualcosa che non è mai stato fatto prima: una produzione italiana che prova a realizzare un film in inglese senza l’aiuto di americani o britannici; oltretutto un musical, quindi cinque volte più complicato di un film normale».
Nicola Abbatangelo oggi ha 34 anni, quando ha finito di girare The Land of Dreams ne aveva 31, l’anno prima aveva vinto il premio per il miglior corto alla Festa del cinema di Roma con Beauty, prodotto dalla Moolmore Films, attirando su di sé l’attenzione di attori, produttori e critici. Tra loro c’era Marco Belardi, che subito ha scommesso sul suo primo lungometraggio, e ha deciso di produrglielo. L’idea, come detto, è qualcosa di mai visto in Italia: un musical, in inglese, recitato quasi tutto da attori italiani. Tempi incontra il regista molisano a Roma pochi giorni dopo l’anteprima e dopo i primi elogi usciti su giornali e tv nazionali.
Perché un musical? «Molto semplicemente il musical mette insieme tutte le mie passioni: la musica, la recitazione, il raccontare una storia. Da lì la voglia di ambientarlo in un periodo che non conoscevo bene ma che mi affascinava molto, per poi prendere una tangente immaginifica». Ha una trama di cui non vogliamo svelare troppo – va visto, al cinema – e l’idea che ci piace tantissimo di utilizzare una parola tremendamente abusata oggi, sogno, e rivestirla con un abito nuovo. «Il sogno è un’idea di come può essere la realtà», racconta Abbatangelo, «ma quando perde la sua relazione con la realtà può diventare una gabbia». Si badi, in The Land of Dreams il sogno non è la pastetta mielosa in stile Disney o pubblicità della Nike, non è il mantra “se credi nei tuoi sogni li realizzerai”, ma un’analogia che serve al regista per parlare del vero io dei personaggi.

L’ospite inatteso
Quando incontra Tempi, il film non è ancora uscito in sala, ma Abbatangelo ha già in testa i prossimi progetti. Questo musical ha avuto una gestazione lunghissima, complice la pandemia e le sale a lungo chiuse, lui ripete che è come un figlio: la sera della prima proiezione, emozionato, diceva che era arrivato il momento di lasciarlo andare. E The Land of Dreams va che è un piacere. Intanto, non ha il problema di riempire le caselle politicamente corrette che vanno tanto di moda oggi, e poi fa una cosa che si fa sempre di meno: racconta una storia.
Una storia in cui c’è un amore tra un uomo e una donna, due protagonisti “buoni”, un antagonista “cattivo”, un’ambientazione da pellicola classica – la New York degli anni Venti –, magia. È un film che racconta di una casa misteriosa in pieno centro a Manhattan che tutti credono disabitata dove una sera per caso entra – passando dal seminterrato, dove c’è una finestra che non si chiude – Eva, ospite inattesa. Lì, con il fratello, vive un reduce dalla Grande Guerra, Armie. L’arrivo di Eva stravolge la vita di entrambi. Armie ha il dono di viaggiare e fare viaggiare nei sogni: ognuno di noi ha un solo grande sogno, dice, e lui fa vedere e vivere quello, e solo quello. «I sogni sono inutili, sono distrazioni, favole per bambini», risponde Eva. È invece vivendo con lui il suo sogno di diventare una cantante – in una lunga scena ricca di effetti speciali – che lei riapre la cassaforte dentro cui lo aveva rinchiuso anni prima, e osa.

Magia e fantasy in The Land of Dreams, ma non è una fuga
The Land of Dreams è la storia di un sogno che in realtà è il destino che ci aspetta, che si compie attraverso vie tortuose e non senza fatica per tutti i protagonisti. Su Eva ha messo gli occhi un boss mafioso, interpretato da Edoardo Pesce, candidato a sindaco di New York e convinto che ogni sogno possa essere realizzato grazie a potere e denaro, nascondendo però all’anima ciò che si prova veramente. Armie, che risveglia il sogno di Eva, ha paura di uscire di casa – «Il mondo è un posto pericoloso», dice, prima di deluderla. «Tu hai risvegliato un sogno che avevo sepolto e mi hai spinto a crederci, avevo paura ma guardandomi negli occhi mi hai detto che ci saresti stato e ora ti nascondi. Perché non mi dici la verità?». Ha bisogno di qualcuno che lo prenda e lo porti fuori.
Casa sua è piena di oggetti accatastati da una vita, anche lui nonostante il suo magico potere ha chiuso a chiave qualcosa, chiudendosi a sua volta. Ma «l’amore non chiede il tuo permesso, si intrufola sempre, anche dal seminterrato», gli dice il fratello. The Land of Dreams ci ricorda che tutti abbiamo una finestra che non si chiude nel seminterrato, è da lì che entra l’ospite inatteso che solo può farci felici. Il film di Abbatangelo in fondo usa il sogno per parlare di realtà («È reale questo?». «Non so cosa c’è là fuori, ma voglio affrontarlo con te»), è un racconto sul desiderio pieno di musica, canzoni originali, bravi attori che si divertono e fanno divertire, colpi di scena e qualche lacrima.
Il realismo magico di Abbatangelo
La cifra stilistica del giovane regista è il realismo magico, Abbatangelo usa l’immaginifico e il fantasy non come fuga ma come punto di fuga, «perché, come diceva Tolkien, è una lente d’ingrandimento privilegiata per raccontare e fare amare la realtà». La realtà è meglio del sogno, da cui bisogna uscire, ma il sogno, in The Land of Dreams, serve a spiegare meglio la realtà. Un film costato oltre cinque milioni di euro e coraggiosamente affidato a un esordiente che è riuscito nella titanica impresa di fare recitare e cantare in inglese un gruppo di attori quasi tutti italiani, costruendo un’opera corale che, lo dice Stefano Fresi, che interpreta il proprietario del locale dove Eva lavora, «più di altri generi è fatto dalla scenografia, dai costumi… da tutti i reparti, nessuno è meno importante di un altro».
Il lavoro sul set di The Land of Dreams
Chiacchierando con Tempi Abbatangelo racconta le sette settimane di lavoro sul set di Sofia, in Bulgaria, la fatica di girare tutto, la consapevolezza di avere gli occhi della produzione che lo seguivano attentamente, il rapporto con ciascun membro del cast e della troupe – «Per me non è uguale sapere che uno è contento o no», dice –, i momenti di difficoltà in cui gli attori con più esperienza lo hanno aiutato, l’entusiasmo negli occhi di chi non vedeva l’ora di cimentarsi in un’esperienza nuova per il cinema italiano.
E poi il rapporto con Fabrizio Mancinelli, l’autore delle musiche originali di The Land of Dreams, un lavoro di squadra con un oceano in mezzo (Mancinelli vive e lavora a Los Angeles) che ha prodotto canzoni che restano nella testa dello spettatore e che non invadono mai troppo le parti recitate né sono gratuite o di contorno, ma fondamentali per l’andamento della trama. Ancora Fresi: «Nicola è dotatissimo, ha un gusto incredibile e inspiegabile per i suoi pochi anni, ha un entusiasmo incredibile ed è un bell’essere umano, che è una cosa che non guasta sul set».
The Land of Dreams è un progetto ambizioso come il suo regista, che ha un’idea chiara del perché fa questo mestiere e di come farlo, e soprattutto sa cosa vuole dire e lo dice benissimo. Innanzitutto, «raccontare storie ed emozionare», cioè quello che il cinema è nato per fare. E che il suo musical fa.