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Te Deum laudamus per la possibilità di una vita nuova

In quel fatidico 30 ottobre è avvenuto un miracolo. Il sisma ha distrutto tutto, ma non ci sono stati morti. San Benedetto ha preso su di sé i peccati di Norcia, come Cristo per il mondo, e ci ha dato l’occasione per convertirci

Benedict Nivakoff
28/12/2016 - 3:00
Società
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Questo articolo è tratto dal numero di Tempi in edicola a partire dal 29 dicembre (vai alla pagina degli abbonamenti) e secondo tradizione è dedicato ai “Te Deum”, i ringraziamenti per l’anno appena trascorso. Nel “Te Deum” 2016 Tempi ospita i contributi di Benedict Nivakoff, Alex Schwazer, Rone al-Sabty, Ilda Casati, Luigi Amicone, Siobhan Nash-Marshall, Tiziana Peritore, Therese Kang Mi-jin, Anba Macarius, Roberto Perrone, Pier Giacomo Ghirardini, Farhad Bitani, Maurizio Bezzi, Renato Farina, Pippo Corigliano, padre Aldo Trento, Mauro Grimoldi. Il prossimo numero di Tempi sarà in edicola da giovedì 12 gennaio 2017.

Benedict Nivakoff, 37 anni, statunitense, è priore dei monaci benedettini di Norcia dal 22 novembre scorso. È stato anche vicepriore e maestro dei novizi. Dal 24 agosto scorso i 16 monaci vivono in alcuni container alla periferia della città.

Con le immagini di distruzione e la triste notizia dei 300 morti ad Amatrice ancora vivide nella nostra memoria, e vedendo la scena di distruzione davanti e intorno a noi che suggeriva una tragedia ancora più grande, la mattina del 30 ottobre noi, i monaci sacerdoti, siamo scesi in città correndo, portando con noi l’olio sacro e tutto quello che occorreva per preparare gli abitanti di Norcia per la morte. Per assolvere i loro peccati e accompagnarli negli ultimi momenti di questa vita, la quale è trasformata, non tolta, come dice il prefazio dei defunti: vita mutatur, non tollitur. A casa, cioè nei prefabbricati dove viviamo, costruiti dopo il terremoto del 24 agosto, abbiamo lasciato otto monaci in ginocchio con lo sguardo sulla città e con la corona del rosario in mano, pregando non soltanto per i morti in città, ma anche per i loro padri che stavano per affrontare grandi pericoli per salvare le anime.

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Arrivati alle porte della città con un’auto che abbiamo dovuto “rubare” per arrivare il più presto possibile con il nostro soccorso, abbiamo visto con dolore una distruzione quasi totale. La gente, ammucchiata in piazza come pecore pronte per il macellaio, aspettava il crollo o del campanile del comune o della facciata della Basilica, l’unica parte della chiesa rimasta in piedi dopo il terremoto del 24 agosto, essendo anch’essa sul punto di crollare qualora ci fosse un altro colpo. Siamo andati insieme ai vigili nei vicoli della città per ricercare gli abitanti rimasti dentro le loro case, indicando loro dove andare perché, non essendo di Norcia, conoscevano poco la città. Siamo andati prima dalle Clarisse. Siccome le porte erano chiuse, i vigili pensavano che fossero già uscite. Ma noi eravamo di diverso avviso. Li abbiamo convinti a buttar giù la porta della cappella, ed ecco otto suore intorno all’altare, impaurite, ma fiduciose che qualcuno sarebbe venuto a salvarle.

Siamo tornati in piazza con una suora anziana in braccio perché non riusciva a camminare. A questo punto pure i vigili erano spaventati. Abbiamo detto ad alta voce a tutti di pregare, e visto che non si scuotevano abbiamo insistito gridando come Giovanni Battista: «Pregate, confessatevi, oggi potrebbe essere il vostro ultimo giorno, pentitevi dei vostri peccati». Ma pochi pregavano. Pochi si confessavano. Padre Basilio guidava il Rosario ma oltre alle suore poche persone lo accompagnavano. Forse erano spaventate dalla paura, o ancora peggio, avevano perso l’abitudine, non sapevano come fare, come pregare. Ma erano vivi. Questa era la cosa importante. E forse questa esperienza, se non subito, speriamo alla fine li farà ritornare alla preghiera, a Dio.

Abbiamo poi ripreso la ricerca degli abitanti con i vigili, andando di casa in casa, trascinando fuori vecchiette che non volevano uscire. Eravamo pronti per dare l’estrema unzione alle vittime, ma sorprendentemente non ce n’era nessuna… Com’era possibile? Tutte le chiese e molti altri edifici erano crollati, c’era polvere dappertutto… ma dov’erano i morti? Padre Martino ed io ci chiedevamo come mai. Forse tutti erano sotto le macerie?

Il faro salvifico del popolo
A poco a poco però, soprattutto quando sono arrivate le grandi ruspe per togliere le macerie e aprire una strada di uscita, ci siamo resi conto che nonostante i crolli dappertutto, nonostante la straordinaria distruzione di tutte le chiese e di tanti edifici, san Benedetto aveva fatto un miracolo. Prendendo su di sé i peccati della città, come Cristo per il mondo, la Basilica costruita sulla sua casa è crollata, ma nessuna vita è andata persa. È voluto intervenire insieme a Dio per dare a tutti, e soprattutto a noi monaci, la possibilità di una vita nuova, la possibilità di correggere i nostri errori e così prepararci meglio per la nostra morte.

I disastri della natura ci lasciano sempre senza parole. Per un terremoto, diversamente da altri tipi di calamità naturali (cicloni, tempeste, incendi), non c’è nessun preavviso. Uno non si può preparare. A Norcia però san Benedetto è divenuto il faro salvifico del popolo.

Gradualmente, dal 24 agosto fino al 26 ottobre, a causa dei danni provocati dai crescenti eventi sismici, la città si era quasi del tutto svuotata dei suoi abitanti, monaci compresi, in modo che, quando finalmente arrivò quel giorno fatidico del 30 ottobre, il Santo Patrono dell’Europa, alla cui vita (non lo dimentichiamo!) fu attentato ben due volte (una volta da parte dei cattivi monaci di Vicovaro, un’altra dal parroco vicino al suo monastero), è divenuto il parafulmine, prendendo su di sé la colpa del terremoto, salvando così la città e tante vite. Per questo, e per molti altri miracoli legati ai terremoti del 2016, Te Deum laudamus.

Foto Ansa

Tags: Benedict NivakoffNorciaterremoto
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