Poi, è un istante, la pioggia si fa rapinosa. L’ira covata esplode. Come una donna, che lungamente abbia taciuto davanti ai torti di chi ama e scoppi in un rovinare di rabbia, così è la tempesta che giustizia la tardiva estate
E adesso perché quel gioco infantile torna così insistente, e si accosta tenace all’ultimo sorriso di un amico andato via all’improvviso? Sembra che una parte di me mi suggerisca di guardare la realtà da un’altra visuale
So la pace del piccolo cimitero pieno di fiori che resta aperto anche quando scende
la notte; come se ci fosse, quassù, tra i vivi e i morti, una confidenza affettuosa. So dove si trovano i lamponi. Li curo con lo sguardo
Quante volte durante l’anno vorrei una giornata tranquilla. Eccola, è qui. E mi rende inquieta. Non parto, nelle domeniche vuote. Ho capito che quello che cerco non è altrove. È qui. Come una fonte sepolta in un pozzo
Cos’è, che intravedi nell’ora più torrida di questo pomeriggio? Mentre tutti riposano, nel silenzio di un paese arroccato sulla sua collina hai incontrato l’Estate: in persona, regalmente assisa sull’afa e le folate pigre di vento
Le tele coperte da una patina scura di tempo testimoniano di inaudite grazie ricevute da uomini che sono morti da tanti anni. È per questo, o per il buio delle sale, che il visitatore è colto da uno spleen di ombrosa malinconia?
La folla che al mattino si riversa dai cancelli della gare Saint Lazare è un torrente in piena; e alle nove i parigini non camminano, corrono – scavalcando come un ostacolo chi non corre abbastanza, o non sa dove andare
Dopo la caduta del Muro rimasero i vecchi. Non c’è lavoro, e non arrivano nemmeno gli immigrati. Il gigantesco Karl Marx di pietra è rimasto. Anche se i giovani non sanno più chi è e cosa voleva, quel signore corrucciato
Non è solo questione di numeri, la solitudine dei viali vuoti (il rumore che fanno i tram che si allontanano, così forte nel silenzio). È come se venisse a mancare il sole attorno a cui la città orbita; e si annaspasse in uno smarrito torpore