Sopravvivere 40 giorni nella foresta amazzonica. Quattro miracoli (più uno)
«Miracolo, miracolo, miracolo, miracolo». La parola in codice concordata se i 4 fratellini fossero stati trovati vivi è stata ripetuta quattro volte, quando i soccorritori si sono imbattuti nei visi spaventati, smunti e stanchi di Lesly, Soleiny, Tien e Cristin. Non c’è dubbio che sia un evento fuori dall’ordinario sopravvivere per 40 giorni nel fitto della foresta amazzonica, a maggior ragione se la più grande dei protagonisti della storia ha appena 13 anni.
Era il 1 maggio quando il Cessna 206, sul quale volavano insieme alla loro madre, è precipitato nel Sud della Colombia procurando la morte di tutti gli adulti a bordo e lasciando vivi solo i 4 bambini che da quel momento si sono confrontati con uno degli ambienti più ostili al mondo. Pioggia per una media di 16 ore al giorno, predatori, insetti, piante velenose, alberi alti fino a 50 metri che non permettono ai raggi solari di penetrare. E chissà cos’altro. Quando si dice foresta vergine si parla di una natura che frantuma ogni nostra immagine di selvaticità a cui tendiamo ad associare qualche tocco idillico, anche se minimo.
La legge della giungla
E se la memoria tira fuori il nome di Mowgli, allora occorre fare un nota bene. Attraverso la giungla Kipling ha messo a tema, in fondo, la foresta intricata dei rapporti umani in cui ogni «animale» parla la sua lingua e persegue i propri scopi, costruisce la propria comunità e affronta complicati rapporti di vicinanza, aiuto o attacco. Proprio in quel testo la legge della giungla è l’opposto di quello che di solito intendiamo. Quando l’orso Baloo insegna a Mowgli la legge, lo educa alla gentilezza di imparare le diverse lingue degli animali che abitano attorno a loro. Si tratta della grande sfida che può esserci solo in un contesto umano: ascoltare e imparare la voce dell’altro per poterlo incontrare. Mowgli si stanca presto delle lezioni di Baloo, poi scoprirà a sue spese quanto possa essere utile conoscere il saluto dei serpenti per sopravvivere.
La legge della giungla di Kipling è un tesoro tuttora prezioso per la selva a cui tende a ridursi la comunità umana, ma non vale nel posto in cui sono precipitati i 4 fratellini colombiani. Dopo il disastro aereo non è andato loro incontro Akela o Bagheera. Dove c’è solo un’intricata foresta di selvatica indifferenza la sopravvivenza si confronta con l’ipotesi di una scena in cui non esiste orecchio a cui rivolgere un grido di soccorso.
Un nemico inconsapevole di esserlo
Questa è la natura. Non è neppure esatto definire la foresta amazzonica un ambiente ostile, perché è un aggettivo che implica una coscienza che agisce consapevolmente in modo oppositivo. La natura non ha un volto ostile, perché non ha un volto.
Ostile era l’altra selva da cui scappavano. Madre e figli si erano, infatti, messi in volo per ricongiungersi al padre, Manuel Ranoque, ex governatore della riserva indigena di Puerto Sabalo, che era già fuggito in seguito alle minacce di morte ricevute dei guerriglieri. In mezzo alla foresta vergine non c’è l’ostilità di un nemico che è consapevole di essere tale. Non c’è nessun antagonista, c’è un ambiente in cui la selvaticità ha l’aspetto vigoroso di una poderosa e rumoreggiante indifferenza. Proprio al cospetto di ciò ci si rende conto che l’aggettivo «naturale», tanto osannato oggigiorno, è qualcosa di terribile. Ed è ridicolo parlare di Madre Natura. Ecco perché si grida – davvero – al miracolo se qualcuno sopravvive in un contesto in cui naturale non significa avere un orticello bio sul terrazzo vista centro storico.
La voce della nonna
C’è una vera lezione ecologica da apprendere, leggendo in controluce quanto accaduto ai bambini sperduti in Colombia. Ci si ritrova a ripercorrere la cronaca dei loro 40 lunghissimi giorni nella selva riconoscendo che l’unica speranza per il mondo è che ci sia un’alternativa a ciò che è naturale, qualcosa di opposto a ciò che è lasciato sotto il cieco dominio della natura.
La più piccola dei 4 bimbi ha appena un anno e, secondo le ricostruzioni, la madre la teneva in braccio quando il velivolo è precipitato e con questo gesto di cura le ha salvato la vita. Il soccorso ininterrotto è stato portato avanti da 200 volontari che hanno esplorato la foresta palmo a palmo, riconoscendo segni e tracce del passaggio dei piccoli. Dagli elicotteri sono stati lanciati kit di generi alimentari sperando che i bambini smarriti riuscissero a nutrirsene. Per contrastare la loro paura in mezzo a un inferno di vegetazione, pioggia e predatori la voce della loro nonna è stata registrata e sparata a tutto volume nella giungla.
Il quinto miracolo
Cura, soccorso, veglia, perlustrazione, protezione, nutrimento non sono gesti propri della natura, eppure, se li riferiamo all’uomo, tendiamo a definirli naturali perché li sentiamo scritti dentro di noi. Ecco, rendiamoci conto della sostanziale differenza che c’è in ballo. La natura è una foresta che non avrà mai il tono di voce della nonna, le braccia della mamma, l’occhio attento di un soccorritore. Non avrà mai neppure qualcosa che assomiglia a un pianto, al dolore della perdita.
Esultiamo di gioia nell’apprendere che 4 bimbi sono stati tratti in salvo vivi dopo 40 giorni nella giungla amazzonica, è più che ragionevole definirlo miracolo e ripeterlo quattro volte. Ma un altro miracolo era accaduto pochi giorni dopo lo schianto del Cessna. Dall’ospedale dove i fratellini sono attualmente ricoverati è trapelata una notizia riferita dalla sorella maggiore, Lesly. La madre, gravemente ferita dall’incidente aereo, è sopravvissuta per quattro giorni insieme ai figli nella foresta ed è stata da loro assistita, vegliata e accompagnata alla morte.
Qualcosa di portentoso, allora, è davvero precipitato nel fitto di una lussureggiante selva vergine: c’è da credere che il pianto che sgorga dall’amore non fosse mai penetrato in quell’intrico così generoso di vegetali, animali, colori e profumi mozzafiato. Quando tendiamo a inchinarci a un vago ritorno alla natura, superficialmente inteso come uno stile di vita più sano e dunque felice, teniamo a mente quanto possa risultarci crudelmente disumano ciò che è davvero naturale.
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