

Caro Vichi Festa, sul Corriere della Sera avevo letto del tuo commosso appello in mio favore al Meeting di Rimini, poi le mie figlie mi hanno raccontato come è successo e quanto fosse “commosso”. Mi perdonerai se anche io voglio pubblicamente ringraziarti, non relegando ad un biglietto privato il mio grazie e la mia commozione.
Penso al mio stupore e allo stupore di tanti ciellini che ti hanno visto. Dove sta la radice di tale commozione, dove è la strada comune, il grande ideale, la quotidianità di due storie diverse, dalle origini diversissime per provenienza, cultura, prassi e ideale? Per non dire del grande affetto e dello spazio che Ferrara mi dà sul Foglio? Luigi Amicone ricorderà cosa rispose don Luigi Giussani, alla prima domanda che gli pose sulla sua percezione del momento storico, in una bellissima intervista che gli fece Tempi qualche anno fa.
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[su indicazione di Simone trascriviamo la domanda di Amicone e la risposta di don Giussani. L’intervista apparve sul numero 29 del 3 settembre 1997 ed era intitolata “Non conformatevi”, ndr]
Amicone: Due anni fa, in un’intervista alla Stampa avvertiva che la situazione del paese «è grave per lo smarrimento totale di un punto di riferimento naturale oggettivo per la coscienza del popolo, per cui il popolo stesso venga spinto a ricercare le cause reali del malessere e a salvarsi così dagli idoli». Qual è la sua percezione del presente?
Giussani: Lo definirei un momento drammatico e bello, perché la fragile creatura, l’io umano, torna ad essere l’unico punto da cui si può ripartire. L’io, infatti, è quel livello della natura nel quale la natura diviene cosciente di se stessa. Per questo l’epoca che più di ogni altra sembra definita da una trascuratezza e da una dimenticanza di che cosa sia la natura elementare dell’uomo e, dall’altra parte, da una pretesa dello Stato di stabilire limiti e possibilità della speranza terrena per l’uomo, proprio questa è l’epoca della libertà. Da dove ripartire, infatti, per ricostruire quelle che Eliot chiamerebbe “città distrutte”? Dalla fragile creatura in quanto diviene generatrice di un popolo, e quindi storia. E l’uomo è innanzitutto libertà; il Mistero stesso lo ha creato libero. Infatti solo la libertà riconosciuta come dipendenza, come rapporto diretto col Mistero, è inattaccabile, cioè inassimilabile, da qualsiasi potere. Per questo auspico il moltiplicarsi di incontri tra personalità che conservano un impeto autenticamente umano, cioè proporzionato alla loro natura. Personalità la cui identità sia chiaramente riconosciuta e comunicata possono insieme collaborare in vista di un bene maggiore: ecumenismo e pace essendo i termini ultimi di una convivenza che si dica umana, veramente rispettosa del destino e del tentativo di ciascuno. Diversamente, la convinzione che per assicurare un pluralismo nella società si debba mettere tra parentesi la propria identità non ha speranza di riuscita. Questa, piuttosto, genera una intolleranza indifferente al destino dell’altro, che sfocia inevitabilmente, presto o tardi, in violenza.
Sì, incontro tra personalità che conservano un impeto autenticamente umano. È diventata una storia e anche il tentativo di Tempi.
Per questo, non davanti a cinquemila persone, senza tv o immagini che possano farti vedere i miei occhi, mi commuovo nel dirti “grazie”. E ai cinquemila che ti hanno applaudito chiedo di essere simpatetici con quel tentativo che settimanalmente realizziamo.
Antonio Simone
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