Se a Milano ti sposa l’amico. Il narcisismo della generazione Friends
Ieri il dorso milanese del Corriere della Sera ha dato notizia di un fenomeno particolare che riguarda le nuove generazioni di trentenni. Nel biennio 2010-2011 nel capoluogo lombardo il 7 per cento degli sposi ha chiesto che a celebrare le nozze fosse un amico. Tornando oggi sulla notizia, la psicologa Silvia Vegetti Finzi, sempre dalle pagine del Corriere Milano, fa notare che il fenomeno riguarda una generazione cresciuta davanti a telefilm americani (Friends, Beverly Hills, Dawson’s Creek) in cui la comunità di riferimento rimane per tutta la vita quella dei compagni di liceo. Fra di essi non c’è autorità. E la comunità, più che per portare un apporto alla società, è concepita come un rifugio dai mali del mondo. Per Claudio Risé, scrittore e psicoterapeuta, «questo è uno dei frutti della secolarizzazione. Siamo in una società secolarizzata che rende il rapporto con Dio marginale e inutile. La vita si ferma qui, al mondo visibile, ridotta alle cose materiali: esiste solo ciò che vediamo e tocchiamo. Non esiste l’Altro maiuscolo e quindi nemmeno l’altro minuscolo, come figura diversa e autorevole a cui c’è bisogno di affidarsi per crescere.
Professor Risé, da sempre l’unione fra uomo e donna è stata concepita non come una questione inerente la sola coppia, ma come un patto nuovo all’interno di una più ampia comunità. Di qui, la necessità che tale patto fosse sancito da un’autorità “altra” rispetto ai due. L’esempio milanese sembra voler indicare la non necessità di questa autorità/alterità. A che bisogno dell’uomo corrisponde la presenza di un’autorità altra rispetto alla sola coppia?
L’uomo ha bisogno di cambiare per crescere. Per questo deve confrontarsi con il diverso. Oggi, invece, l’amico di sempre non è più un altro diverso, ma un riflesso di sé. E l’autorità come guida necessaria all’uomo per il cammino non c’è più.
Silvia Vegetti Finzi sul Corriere di oggi parla di epoca caratterizzata da narcisismo competitivo in cui legami «endogamici» risultano difensivi.
Che significa?
È la patologia più diffusa nel matrimonio: il narcisismo infinito dove non c’è mai la scoperta di una diversità che trascenda e vada al di là del proprio quotidiano. Ci sono solo io, e il coniuge è sempre una mia proiezione. Questo è il modello di matrimonio e di legami che, in generale, è proposto dal mondo contemporaneo. Un vero pericolo da cui si esce solo prendendo coscienza dello stallo e della malattia che ne consegue. Dal matrimonio è scomparsa anche la dimensione della responsabilità sociale. Il matrimonio come nuova prospettiva spaventa. E, infatti, non è più vissuto come uno stacco dal vecchio per costruire il nuovo. Per questo non si percepisce il nesso che ha con l’apporto alla comunità.
Non c’è più “altro” al di fuori della coppia?
Non c’è più altro nemmeno all’interno della coppia. In questo narcisismo tra i coniugi i due non sono propriamente marito e moglie, ma quasi amici o fratello e sorella. Il matrimonio non è uno più uno stacco dal vecchio in cui si abbandonano il padre e la madre per formare un solo corpo e sangue con l’altro da me. Peccato che, proponendo questo modello, la società sia ferma e in stallo, dato che la coppia non crea e non genera più nulla di nuovo.
Basta prendere consapevolezza di questo per ripartire?
È il primo passo. Per vivere diversamente oggi ti devi rendere conto di avere bisogno d’altro, staccarti da quello che propone il mondo e fare un grande sforzo per andare controcorrente. Per questo serve un ambito in cui in cui i rapporti siano concepiti diversamente rispetto alla cultura secolarizzata.
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