
Scuola e famiglia, sussidiarie l’una all’altra

Il 7 gennaio c’è stata una parziale apertura delle scuole. Una ripresa, però, difficile e non da tutti condivisa: la pandemia sembra essere ancora fortemente presente e in agguato. L’occasione però di questa ipotetica riapertura riaffaccia anche il problema della collegialità educativa nella scuola, con la partecipazione dei genitori e delle famiglie al processo di crescita culturale e umana degli alunni/studenti.
Ciò pone tutti noi a considerare come accanto alla responsabilità educativa della famiglia e dei genitori – responsabilità che tuttavia andrebbe meglio identificata – va evidenziata anche la responsabilità della scuola e di coloro che la personalizzano.
Anni fa si è tentato un correttivo con l’introduzione della gestione sociale, correttivo che, col tempo pur ritoccato, permane, ma che non ha causato alcun sostanziale cambiamento se non il meccanico inserimento nella scuola dei genitori, i quali si sono trovati di fronte, e ancora si trovano, ad una articolazione che non ha cancellato, ma ha riproposto il discorso di delega, con la scelta di rappresentanti di classe che spesso agiscono a titolo personale, e non in conformità alle attese delle famiglie, tenute a debita distanza, e di fatto spesso coinvolte soltanto per l’organizzazione delle feste scolastiche.
Se i genitori non sono chiamati ad una concreta partecipazione, viene eliso il confronto con la loro responsabilità.
Le ragioni sono da individuarsi nella confusione, reale o artificiosa, in ordine al riconoscimento della responsabilità di educazione e di istruzione dei genitori e delle famiglie; nella negazione del contemporaneo ruolo educativo della scuola, un ruolo complementare ed integrativo a quello familiare; nella individuazione del corretto significato del “fare cultura” che esige l’idea di una scuola in cui ci si possa concretamente esprimere e liberamente servire secondo quella dimensione che è alla base del “fare cultura”.
Ciò si verifica solo se la scuola configura un itinerario di lavoro e di impegno che si legittima in una visione globale della persona e per la particolarità della sua riflessione sul significato della presenza umana nella storia. In quest’ottica la cultura familiare, di cui lo studente è portatore, non può essere trascurata.
La scuola non può e non deve sostituirsi alla famiglia; può e deve coinvolgerla affinché il processo educativo sia realmente integrativo. Una scuola solo istruttiva non è sufficiente alla realizzazione personale degli studenti. Da qui il senso della “corresponsabilità” della famiglia nella scuola in ordine alla realizzazione personale del figlio/studente: scuola e famiglia devono essere messe in rapporto e in sintonia fra loro.
Quindi, una scuola realmente concepita come espressione di una realtà viva di persone che in una unità di intenti sempre ricercata vivono un complesso di valori attorno ai quali viene costituito il motivo fondamentale di ogni educazione e pertanto della stessa scuola in quanto “momento” di educazione.
Solo ad una scuola veramente rispondente a queste prerogative si può dare la qualifica di “comunità educante”, frutto cioè di una aggregazione, di una scelta libera, attorno a valori autentici da scoprire, sperimentare e proporre insieme.
Si tratta certamente di un fatto di cultura. E se uno degli aspetti del fare cultura è rappresentato dal modo di porsi e dal modo di essere, la “comunità educante” diviene ambito di elaborazione e di espressione, in cui le persone – insegnanti, alunni e genitori – mettono insieme conoscenze, esperienze, ideali, ipotesi di impegno e di lavoro, e scelgono mezzi, tempi e fini intermedi, per conseguire insieme una visione coerente dell’uomo e della storia, un insieme di valori riconosciuti e sperimentati, e un insieme di comportamenti personali e sociali ad essi conformi.
Con il richiamo ad una “corresponsabilità attiva” dei genitori e delle famiglie, si verrebbe a realizzare quella “sussidiarietà”, insieme esercitata, tra scuola e famiglia, a sostegno l’una dell’altra; e con ciò rispettando concretamente – e non mortificando – il pluralismo culturale e sociale, cioè quel pluralismo che è garanzia di quella libertà e di quella democrazia le cui temperature si misurano proprio analizzando se vi è o non vi è libertà di educazione.
Solo così si attuerebbe un concreto passaggio alla scuola della comunità, non a una comunità astratta, ma a una comunità reale dove i genitori e le famiglie verrebbero portati a partecipare perché responsabili e direttamente coinvolti nell’attuazione di un progetto educativo.
Il tutto in una unità dichiarata di intenti in cui gli insegnanti non dovrebbero mortificare la loro espressione anche nell’esercizio della specifica professione perché inseriti in una realtà viva e in continua crescita; la famiglia verrebbe concretamente aiutata a stabilire una sostanziale continuità educativa e a preoccuparsi non soltanto dei propri figli ma anche delle altre famiglie; gli alunni sarebbero completamente messi nella condizione di crescere e di esprimersi liberamente secondo una dimensione congeniale e non finalizzata.
La scuola diverrebbe, così, autenticamente “momento” di educazione e di formazione, luogo di esperienza personale e comunitaria, nonché ambito culturale teso a far scoprire il proprio ruolo, la propria identità e la propria vocazione. E si sconfiggerebbe così il vuoto oggi esistente nella scuola e il nulla attorno al quale troppo spesso si è chiamati a partecipare; si promuoverebbe invece una autentica partecipazione, capace di ridare sapore e significato all’impegno richiesto di corresponsabilità: cioè una partecipazione consapevole e non semplice premessa del fatto educativo.
Foto Ansa
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