Una pañolada silenziosa delle imprese brianzole e comasche. Una forma originale di protesta da parte di una fetta importante del tessuto produttivo lombardo e nazionale cui hanno aderito finora un centinaio di persone tra imprenditori, operai e dipendenti, e che presto dovrebbe abbracciare anche la città di Cantù con un evento. A inaugurarla è stato Giuseppe Caggiano, marmista di Sant’Isidoro, frazione di Carugo, paesino fino a pochi giorni fa sconosciuto alla grande stampa nazionale, che un giorno ha deciso di appendere al cancello del suo capannone un drappo bianco listato a lutto per protestare contro le tasse, incontrando fin da subito la solidarietà e il sostegno di colleghi e conterranei. Attirando così l’attenzione e l’interesse della stampa locale e non solo. Ora i drappi bianchi che si incontrano appesi alle case, ai capannoni e anche alle vie del paesino e dei dintorni sono molti di più.
QUELLI DEL “DRAPPO BIANCO”. «La nostra è una rivoluzione pacifica – spiega a tempi.it Caggiano che non vuole gli sia affibbiata alcuna etichetta – e il drappo bianco è semplicemente un segno della nostra sofferenza». «Chiamateci quelli del “drappo bianco” e stop», aveva dichiarato solo qualche giorno fa al Corriere di Como. Caggiano, che non si vuole appoggiare alla rappresentanza delle varie associazioni di categoria che, a suo modo di vedere, sono pagate per un servizio che non sempre svolgono al meglio, vuole solo rappresentare gli interessi di imprenditori e artigiani.
MENO TASSE SUL LAVORO. «Chiediamo solamente – puntualizza – che ci siano tagliate le tasse, a partire da un abbattimento serio del costo del lavoro», che ormai in Italia è divenuto insostenibile. «La pressione fiscale è al 70 per cento», prosegue, e «se un imprenditore vuole assumere qualcuno di nuovo in azienda gli aumentano l’Irap! Quando in realtà dovrebbero abbattergliela e fargli un monumento». L’elevato costo del lavoro getta Caggiano e tutti gli altri del “drappo bianco” nello sconforto: «In Italia un operaio che guadagna 1.300 euro al mese ne deve pagare 600 di contributi all’Inps; cominciamo – suggerisce – a mettergli 300 euro in più in tasca al mese, così che possa tornare a spendere».
NON VOGLIAMO ELEMOSINE DAL GOVERNO. Sui benefici che l’abbattimento del cuneo fiscale proposto dal governo Letta dovrebbe comportare per i dipendenti, Caggiano aggiunge: «Personalmente ho suggerito ai miei operai di restituirli al mittente i 14 euro in più in busta paga». Perché «non chiediamo l’elemosina, ma che ci siano garantite le condizioni per poter lavorare».
LE SIRENE DELLA SVIZZERA. Artigiani del Marmo Sas, l’azienda di Caggiano, non è che una delle tante imprese brianzole e comasche che fatturano tra i 500 mila e 1 milione di euro l’anno e che hanno meno di 15 dipendenti assunti. Imprese per le quali le sirene della Svizzera, paese dal fisco più amico, suonano forte dietro l’angolo di casa e la tentazione di fare il salto oltre confine è grande. Anche se «non è il mio caso», assicura Caggiano, che fortunatamente di lavoro ne ha ancora. Ma il problema è proprio quello: «In Italia manca il lavoro», asserisce.
IN ALBANIA È MEGLIO. È degno di nota, infine, un aneddoto che l’artigiano del marmo confida a tempi.it e che ben fa capire come la partita che si sta giocando sull’abbattimento del carico fiscale sul lavoro non sia di poco conto. Tutt’altro. Oltre ad essere decisiva per la sopravvivenza della nostra impresa e industria, infatti, essa determina anche l’interesse, o meno, degli investitori esteri per il nostro Paese. Caggiano è appena tornato dall’Albania, dove ha fatto visita a un suo cliente cui ha montato un camino di marmo, un imprenditore edile che costruisce «ponti e strade» dando da lavorare a «900 dipendenti». Idajet Ismailaj, così si chiama, gli ha detto che non verrebbe «mai» a «investire» in Italia, perché «il fisco e la burocrazia stritolano le imprese» e «non si riesce a lavorare». E «il risultato finale» sarebbe quello di aver lavorato per nulla.