Sanremo 2011: Il Risorgimento imperfetto dell’istrione Roberto Benigni

Di Carlo Candiani
20 Maggio 2011
Benigni strega la platea del Festival di Sanremo e il pubblico da casa con l'esegesi dell'Inno di Mameli e una lezione, tanto bella quanto inesatta, sul Risorgimento Italiano

Alla fine dell’esegesi dell’Inno di Mameli, compiuta da Roberto Benigni sul palco del Festival di Sanremo, l’unico che ha sbottato irritato, rosicando in diretta, è stato il dirimpettaio Santoro che si è visto erodere la platea televisiva dall’intervento dell’attore toscano, confermato pochi giorni prima, disorientando il deus-ex-machina di Annozero.
 Ma lasciamo il prode Santoro ai suoi tormenti da Auditel e immergiamoci nel pontificale di Benigni.
 E’ innegabile che il premio Oscar, con la maturità artistica e umana, ha raggiunto una capacità di coinvolgimento spettacolare su temi alti, con una scioltezza di linguaggio e di gestualità insuperabili. Gli si riconoscono una potenza evocativa che viene da una preparazione scenica curata fin nei minimi particolari: sembra tutto spontaneo ma nulla è lasciato al caso, né le battute di satira politica, né la parte (diciamo) più seria.


Stabilito ciò, lasciateci fare alcune considerazioni: sulla ribalta festivaliera si è presentato un artista, pagato profumatamente (è legge di mercato, quindi non c’è scandalo) per realizzare la televendita di un prodotto, in questo caso, il Risorgimento.
 L’artista si è trasformato in imbonitore, bravissimo, ma era lì a piazzare un prodotto, a vendere la merce: l’Inno di Mameli.
 E per avere successo, Benigni ha dovuto misconoscere decenni di puzza sotto il naso del ceto progressista di sinistra che è sempre stato il suo punto di riferimento, dando nuova luce a parole come: patria, nazione, identità, valori, bandiera; tutte parole o concetti contestati da anni ai conservatori un po’ reazionari.
 E ancora: all’indomani di questo intervento si parla e si scrive di una lezione di storia da parte dell’attore toscano, che tra il serio e il faceto avrebbe raccontato come effettivamente avvenne l’Unità d’Italia.
 Ha vinto, quindi, la temuta o sospirata tivù pedagogica, decretando, perciò, la sconfitta della scuola: perché, ci domandiamo, questa unanimità di lodi per la “lezione” di Benigni? E’, forse, la rassegnata ammissione che la materia non è mai stata sufficientemente sviluppata nelle aule scolastiche?


Se ciò venisse confermato, dopo questi 150 anni di istruzione pubblica, sarebbe veramente drammatico. 
Anche perche il Risorgimento, del quale Benigni, ha realizzato una “memorabile” agiografìa, non ha avuto il lineare sviluppo così ben decantato, ma è stato un evento storico contradditorio, oggetto tutt’ora di polemiche tra esperti.
 Un esempio? Eccolo: nell’introduzione all’Inno, Benigni afferma testualmente, “Il Risorgimento non è stato fatto dalle classi colte, ma dal popolo, dal popolo!”. Qualcuno invece ha scritto: “I liberali di Cavour concepiscono l’unità come allargamento dello Stato Piemontese e del patrimonio della dinastìa, non come movimento dal basso ma come conquista regia.” Firmato: Antonio Gramsci.
 Promosso, quindi, il Benigni grande mattatore e istrione, ma come divulgatore storico, ripassi a settembre.

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