Oggi sulla prima pagina di Libero comincia un lungo articolo di Franco Bechis intitolato: “Sono sbagliate le stime sulle unioni gay. Conti pubblici a rischio”. Bechis cerca di fornire qualche cifra a partire dall’ipotesi che in parlamento passi la proposta di legge Cirinnà e quale sia il costo per le casse dello Stato.
67 MILA. Esistono due diverse stime. Secondo la Ragioneria generale dello Stato, a regime in Italia il numero delle unioni civili tra persone dello stesso sesso non dovrebbero essere più di 67 mila. Il numero è ricavato da una comparazione con quanto accaduto in Germania – legge a cui il ddl Cirinnà si ispira – e dove, appunto, il numero di coppie che ha beneficiato della legge, secondo un censimento del 2011, è stato quello. Sempre paragonandosi a quanto accaduto in Germania, i ragionieri dello Stato stimano che solo il 35 per cento di quelle coppie (23.450) avrebbe il coniuge a carico con relativa possibilità di detrazione fiscale, «e il costo – scrive Bechis – salirebbe progressivamente dai 3,2 milioni di euro del 2016 (primo anno di applicazione della normativa), ai 16 milioni di euro a regime previsti nel 2025».
A queste cifre va poi aggiunto l’assegno al nucleo familiare che però, scrive il vicedirettore di Libero, riguarderebbe pochissimi casi «con un costo iniziale di 400 mila euro che a regime salirebbero a 600 mila euro annui».
C’è infine la questione della pensione di reversibilità che verrebbe a costare «non più di 6,1 milioni di euro». Insomma, è la conclusione, secondo la Ragioneria generale dello Stato i costi delle unioni civili non sarebbero eccessivi per le casse pubbliche e ampiamente sostenibili.
CONTI SBAGLIATI. Il problema, avverte Bechis, scatta però se non consideriamo realistica la cifra di partenza. Il servizio Bilancio del Senato, ad esempio, è convinto che le unioni civili sarebbero molte più delle 67 mila previste dalla Ragioneria. In questo caso, anche i costi per lo Stato lieviterebbero. Il servizio Bilancio del Senato non capisce perché l’Italia oggi dovrebbe avere lo stesso risultato della Germania di 5 anni fa solo per qualche «analogia nella regolamentazione». E ricorda che «l’Istat, in una rilevazione riferita alla popolazione omosessuale nella società italiana nell’anno 2011, ha evidenziato che circa un milione di persone si è dichiarato omosessuale o bisessuale» e, avendo registrato solo le risposte di chi è stato d’accordo nel dichiararsi, in realtà potrebbero essere in quella condizione 3 milioni di italiani.
ALTRE SPESE. La conclusione è che sul numero di quante possano effettivamente essere le unioni civli c’è grande incertezza. Di sicuro, non è ragionevole pensare di poter fare delle stime in base a quello tedesco «perché – dicono al Senato – si tratta di un dato assunto dall’esperienza di un altro Paese con caratteristiche di popolazione, economiche, culturali e religiose differenti da quelle italiane».
«La relazione tecnica», sottolinea il servizio Bilancio del Senato, «non tiene poi conto della quantificazione degli oneri finanziari riferibili alla possibilità per tali coppie di potere portare in detrazione spese riferibili al coniuge a carico: spese sanitarie, per interessi da mutui, spese sostenute da soggetti diversamente abili per sussidi informatici o di altra natura, spese per premi assicurativi o per istruzione superiore o universitaria. La condizione di coniuge derivante dall’unione civile potrà avere riflessi anche in ordine alla spettanza di altre detrazioni fiscali, ad esempio per ristrutturazione, risparmio energetico, acquisto di mobili, etc…».