«L’opera di “pulizia”» avviata dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan in reazione al fallito golpe del 15 luglio non risparmia neanche «la più importante» compagnia teatrale del paese, «il Turkish State Theatres, una vera istituzione culturale», scrive Giordano Stabile in un articolo pubblicato oggi dalla Stampa. «Dalla stagione 2016-2017 – continua il giornalista – sono spariti Shakespeare, Anton Cechov, Bertolt Brecht, e anche il nostro Dario Fo. Sostituiti dalle pièce di autori rigorosamente turchi».
LO SLOGAN. «Siamo umanisti nazionalisti. Apriremo la stagione in tutti i teatri solo con testi locali per contribuire all’unità e all’integrità della patria e rafforzare i sentimenti nazionali e religiosi», è il proclama di Nejat Birecik, vicepresidente dell’associazione dei teatri di Stato. Lo slogan scelto è “Il sipario della Turchia si apre con il Teatro turco”, e sono otto le opere «rigorosamente turche» che «saranno portate in 65 teatri in tutto il Paese», spiega la Stampa. Tuttavia non basta nemmeno essere compatrioti di Erdogan per vedere i propri drammi inseriti in cartellone. Anche le opere turche «non in linea con il nuovo spirito» sono state falcidiate.
ATTO «DI FASCISMO». L’attore dissidente Orhan Aydin lo ha definito un atto «di fascismo». Anche perché, informa l’articolo del quotidiano torinese, «non ci sono solo le pièce cancellate ma anche “decine di attori, ballerini e registi” di altri teatri, finiti sotto inchiesta perché sospettati di “gulenismo”». Una purga culturale che si aggiunge all’ormai apocalittico numero di arresti, indagini e provvedimenti disciplinari ordinati in Turchia nei confronti dei presunti sostenitori dei golpisti. Solo ieri «altri 820 militari sono stati cacciati dalle forze armate, e 648 di loro messi in galera», scrive Stabile. Mentre la lista dei giornalisti in carcere ha raggiunto quota 108.
UN KHOMEINI OTTOMANO. La censura di Shakespeare, Cechov e colleghi rappresenta un ulteriore «preoccupante» passo verso qualcosa che William Reed, analista del think tank Clarion Project citato sempre dalla Stampa, identifica come una sorta di «repubblica islamica ottomana». Una svolta autoritaria che «ricorda le prime fasi della rivoluzione khomeinista in Iran», aggiunge Stabile. E che erode inevitabilmente l’identità della Turchia, Paese sunnita (l’Iran invece è a maggioranza sciita) e «soprattutto ancora ufficialmente “laico”». Nella stessa direzione puntano le politiche «contro le minoranze cristiana, ebrea, curda, yazida, alevita» sponsorizzate da Erdogan. E la scelta di cancellare i giganti del teatro mondiale in nome dello «spirito nazionale», continua la Stampa, «rimanda a “un impero musulmano”», e cioè all’impero ottomano, «l’ultimo che assegnava anche il titolo di Califfo al sovrano di Istanbul».
STEINBECK «IMMORALE». Come ricorda inoltre Marta Ottaviani in un box a lato dell’articolo di Stabile, un tentativo di “purga culturale” era già stato fatto nella «laica Smirne» nel 2013. Quando il provveditorato agli studi locale «avanzò la proposta di censurare Uomini e topi» di John Steinbeck perché «conteneva passaggi “contrari alla morale” e “diseducativi” per gli studenti». Quella volta il progetto di censura, attribuito proprio all’Akp di Erdogan, naufragò grazie all’ostinata opposizione del sindacato insegnanti. Adesso però il presidente, «dopo il repulisti seguìto al golpe fallito di luglio, ha sempre meno voci critiche con cui fare i conti».
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