
Pignorati i conti del parlamento siciliano. A rischio gli stipendi di settembre
L’assemblea regionale siciliana è in subbuglio. Si potrebbe definire una nemesi quella che il parlamentino della Regione vive in questi giorni. La Sicilia non si trova sotto i riflettori solo perché ha la Giunta e il consiglio regionale più spendaccioni d’Italia (162 milioni di euro spesi ogni anno solo per questo). In questi giorni la Procura della Repubblica di Palermo ha aperto un fascicolo, per il momento a carico di ignoti e senza ipotizzare alcun reato, e intende passare al setaccio tutte le spese dei gruppi parlamentari: negli ultimi 4 anni e mezzo i gruppi parlamentari hanno gestito qualcosa come 60 milioni di euro, e ora la magistratura vuol verificare che ogni spesa sia stata correttamente giustificata. Non bastasse tutto questo è però giunta proprio nelle stesse ore l’ora della nemesi dell’Ars.
IL RICORSO DEI “PORTABORSE”. Proprio mentre la polizia giudiziaria è entrata a Palazzo dei Normanni, infatti, è arrivata anche una ferale notizia. Settantasei dipendenti dell’Assemblea regionale, tutti coadiutori e assistenti parlamentari, a metà del 2010 avevano presentato un ricorso perché non erano stati riconosciuto loro gli scatti di anzianità, che avrebbero fatto lievitare i loro stipendi, grosso modo, da circa 1.500 euro a 3.700. Adesso i giudici hanno dato ragione ai dipendenti, i quali hanno chiesto e ottenuto il pignoramento dei conti correnti dell’Ars. I 76 “portaborse” attendono pagamenti complessivi per circa 20 milioni di euro, ma l’Ars non ha l’immediata disponibilità dei soldi in cassa. Non solo: con il pignoramento, ora l’Ars non può pagare gli stipendi di settembre per nessuno degli altri dipendenti e nemmeno per i deputati. È la prima volta che avviene qualcosa del genere nella storia.
L’ARS FA RICORSO. Francesco Cascio (Pdl), presidente dell’assemblea, ha spiegato: «Noi abbiamo già avanzato ricorso contro la sentenza che dà ragione ai 76 dipendenti. E abbiamo ragionevole speranza di vincere, anche perché le regole sugli scatti di anzianità nel frattempo sono state modificate dal Consiglio di presidenza. Ma l’Ars non ha tutti quei soldi in cassa. Credo che le somme pignorate riguarderebbero altre voci, come gli accantonamenti per i Tfr. Siamo certi di svincolare però le somme necessarie a pagare gli stipendi di settembre senza molti problemi». Ma le parole di Cascio in questo momento appaiono come l’estremo tentativo di salvezza: «È inaccettabile che vengano accolti decreti ingiuntivi come questo pignoramento, che rischia di compromettere l’attività amministrativa di un’istituzione come il nostro Parlamento».
LE INDAGINI DELLA GDF. Sul fronte delle spese dei gruppi parlamentari indaga la Guardia di Finanza, delegata dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci, coordinatore del pool per i reati contro la pubblica amministrazione. Intanto i partiti si difendono. Se il gruppo parlamentare Pd ha già messo a disposizione il proprio bilancio, il capogruppo del Pdl Innocenzo Leontini ha annunciato la consegna: «I soldi che ci sono stati assegnati sono stati spesi per finalità relative all’attività di gruppo – ha dichiarato Leontini -. Complessivamente non saprei dire l’ammontare, stiamo per pubblicare la scheda, il funzionario che se ne occupa fino a ieri è stato fuori per motivi di salute». Non è la prima volta che la magistratura indaga sui conti dei gruppi all’Ars: è già accaduto per l’intervento della procura generale della Corte dei conti. La Sicilia comunque è in buona compagnia: con motivazioni varie, al lavoro sulle amministrazioni regionali ci sono anche le procure di Cagliari, Napoli, Bologna e Milano.
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