Nei primi tempi del pontificato di Giovanni Paolo II più d’uno, all’interno della Chiesa – tanti, fuori di essa – sosteneva che egli non fosse “al passo della Storia”. Non sono trascorsi molti anni per accorgersi che è stata la Storia, e in modo evidente dal 1989 in poi, a porsi “al passo” di quel Papa Santo: muri che apparivano indistruttibili sono crollati, come i regimi che li avevano edificati, e cortine “di ferro” si sono dissolte, facendo comunicare popoli e nazioni artificiosamente divisi.
Possibile che, a fronte del nuovo totalitarismo che Benedetto XVI ha identificato nella “dittatura del relativismo”, tanti cristiani fatichino a imparare la lezione? Ascoltando interventi e leggendo scritti di persone pure generose e impegnate, si ha l’impressione che abbiano assimilato acriticamente l’idea secondo cui la Storia è una linea retta, il cui incedere verso il Progresso – quello che l’establishment mediatico e culturale definisce tale – può conoscere al più rallentamenti, non mutamenti di direzione. Papa Francesco l’ha chiarito in più di un’occasione: non sono Progresso né l’aborto, né l’eutanasia, né il riconoscimento come parafamiliari di unioni fra persone dello stesso sesso; se mai, costituiscono sintomo preoccupante di regresso.
C’è da attendersi che domenica prossima, in occasione del ricordo di uno dei documenti più importanti del magistero del Papa polacco, la Evangelium vitae, Francesco torni sul punto. A Palermo rappresentanti di importanti istituzioni faranno da cornice alla annuale dichiarazione di guerra alla natura, che è iniziata ieri. Domenica un anziano signore vestito di bianco tornerà a ricordare l’ovvio, in un mondo che si sforza di negarlo, anche nelle leggi. E noi da che parte stiamo? La domanda non è superflua né retorica: se abbiamo dubbi, guardiamoci intorno.