Non possiamo non difendere un asset strategico come Telecom
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Vivendi non esercita semplicemente «direzione e coordinamento» sul Telecom Italia, come sostengono i francesi, ma è diventato un vero e proprio «socio di controllo». Lo ha stabilito la Consob, la Commissione che vigila sulla Borsa, ai sensi del Codice civile e del Testo unico della Finanza, motivando la sentenza in un documento di 22 pagine. Vi si legge che la media company del finanziere bretone Vincent Bolloré, già azionista di maggioranza di Telecom dal 2014 con il 23,9 per cento, ha in pochi mesi assunto il controllo dell’azienda italiana designando manager francesi nei posti di comando: tre amministratori su dieci nominati da Vivendi ricoprono ruoli dirigenziali di vertice nel gruppo francese; il presidente esecutivo è De Putyontaine (dalla cui «esclusiva iniziativa» sono dipese le dimissioni dell’ex amministratore delegato Flavio Cattaneo); due consiglieri su cinque nel comitato strategico fanno parte del top management e di Vivendi. Telecom ha già replicato annunciando il ricorso.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]DICE VITO GAMBERALE. La questione del passaggio di Telecom Italia, ex monopolista pubblico, ai francesi è oggetto di un dibattito molto acceso nel nostro paese. Le telecomunicazioni sono considerate da molti un asset nazionale troppo strategico per lasciarlo in mano a un’azienda privata straniera. È di questa opinione Vito Gamberale, ideatore e primo ad di Telecom Italia, intervistato sull’argomento sul numero di Tempi in edicola. Il manager mette in guardia da questa «situazione di totale anomalia» e accusa la classe politica di aver male interpretato il concetto di libero mercato: «Libero mercato non significa libertà di fare tutto ciò che si vuole su tutto ciò che è proprietà sensibile di un paese».
LIBERO MERCATO E RECIPROCITÀ. Arturo Diaconale, direttore dell’Opinione delle libertà, spiega a tempi.it di essere in totale accordo con Gamberale. «È bizzarra l’idea che gli investitori stranieri siano liberi di acquistare tutto ciò che vogliono nel nostro paese. Il libero mercato si fonda invece sulla reciprocità e sulla presenza di una situazione politica generale di stabilità e sicurezza. In caso contrario, ciascun paese ha diritto di difendere la propria sicurezza attraverso la tutela di quelle aziende che hanno un ruolo e un peso strategico. Lo dico io che sono un grande sostenitore del liberalismo». Non a caso, la Francia ha fatto retromarcia sull’accodo con l’Italia per i cantieri navali Stx, promessi dall’ex presidente Hollande all’italiana Fincantieri. Ancora più dei cantieri navali, le telecomunicazioni, spiega Diaconale, sono fondamentali per la sicurezza interna di un paese, dunque non possiamo permetterci che siano controllate da attori esterni.
UNITÀ EUROPEA. L’ipotesi di un investimento pubblico direttamente nel capitale dell’azienda sarà un problema che prima o poi il legislatore dovrà porsi, sostiene Diaconale. «È una strada possibile, ma anche molto complicata in questo momento di chiusura della legislatura, precarietà del governo attuale e generale incertezza politica. Dunque non credo che sia una soluzione immediatamente attuabile». L’alternativa comporta però profondi cambiamenti politici e di approccio culturale: «Se nella dimensione europea si riuscisse a superare gli egoismo nazionali e a dare vita a un’unità politica europea effettiva, un’azienda sarebbe strategica non solo per un singolo paese, ma per l’intera Unione europea. Allora non importerebbe la nazionalità di chi la controlla perché ogni decisione tenderebbe al superiore bene comune. Allora sì che, all’interno di un’area politicamente unita, ci sarebbe il libero mercato».
Per approfondire l’argomento, leggi il numero 37 di Tempi “L’Occidente ha perso la testa”: c’è l’intervista a Vito Gamberale, ideatore e primo amministratore delegato di Telecom Italia
Foto Ansa
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