«Noi medici di famiglia, che siamo “prima” della prima linea»

Di Emanuele Boffi
22 Aprile 2020
La battaglia contro un virus sconosciuto, le mascherine e il modello lombardo. Parla Paola Pedrini, segretario regionale Fimmg Lombardia

C’è una linea che precede la prima linea negli ospedali, ed è composta dai medici di famiglia. Paola Pedrini, segretario regionale Fimmg Lombardia, racconta a tempi.it l’esperienza, spesso drammatica, sua e dei colleghi in questo periodo di emergenza: «Il primo operatore sanitario a dover far i conti col virus è stato il medico di base. Ne siamo stati travolti tutti all’improvviso. Va detto che, all’inizio della pandemia, ci eravamo accorti che qualcosa di particolare stesse avvenendo. Era il periodo delle sindromi influenzali, ci accorgevamo di questi strani sintomi febbrili, ma noi stessi, come tutti, ci siamo trovati a fronteggiare un male sconosciuto, completamente disarmati».

OPERARE CON MODALITÀ NUOVE

Ora che la “corsa” del virus ha un po’ rallentato, si iniziano a contare i danni e l’elenco triste comprende «molti colleghi ammalati, tanti di loro sono stati ricoverati, alcuni sono deceduti». I medici negli ospedali sono stati “eroici” si scrive giustamente, ma anche i dottori di famiglia non sono stati da meno, anzi. «La nostra attività è stata stravolta. Anche noi abbiamo dovuto, man mano che prendevamo consapevolezza della malattia, adattarci a operare con modalità nuove, innanzitutto riducendo i contatti con i pazienti e a considerare noi stessi come i primi soggetti a rischio».

IMPARARE SUL CAMPO

Ciò che spesso si dimentica, soprattutto negli ultimi giorni, quando al sentimento di emergenza collettivo s’è sostituito un certo malanimo e la “caccia al colpevole”, è che, soprattutto nelle prime fasi dell’emergenza, «ci si trovava di fronte a un male ignoto. Noi stessi abbiamo imparato “sul campo”. I tempi delle visite si sono fatti più lunghi, il triage telefonico si è evoluto. All’inizio, pareva che l’unica domanda sensata da porre fosse: “È stato in Cina? Ha avuto contatti con qualcuno che è stato in Cina?”. Poi, anche noi abbiamo capito che questo non poteva essere l’unico criterio».

MODELLO LOMBARDO

A un paio di trasmissioni televisive cui ha partecipato, Pedrini ha detto che il sistema sanitario lombardo è «un’eccellenza». «E lo confermo – spiega a tempi.it -. Abbiamo ospedali di cui andare fieri, con un personale medico di prim’ordine». Riconoscere questo non significa non vedere i problemi: «È innegabile che aver puntato tutto sugli ospedali ha svuotato l’attività del medico di famiglia e dei distretti. In particolare l’ultima riforma del 2015 (riforma avvenuta sotto l’amministrazione Maroni, ndr) ha ingenerato tutta una serie di problematiche che oggi vediamo con più evidenza. In buona sostanza, s’è ingenerata una certa confusione sulla comunicazione e sulle competenze delle varie Agenzie di tutela della salute. Spesso non è chiaro a chi spetti un certo compito e quali siano le responsabilità».

CAMICI E MASCHERINE

In particolare s’è ingenerata una certa confusione su chi dovesse rifornire i dispositivi di protezione ai medici: «Nelle prime comunicazioni non se ne parlava nemmeno. Credo che, nell’emergenza, il compito spetti alla Regione. Sta di fatto che, fosse compito dello Stato o della Regione, all’inizio non ne avevamo. Dico “all’inizio”, ma dovrei dire “tuttora”, perché questo è un problema che abbiamo anche oggi». Non solo: all’inizio i medici di famiglia si sono detti disponibili ad “arrangiarsi”, procurandosi mascherine e camici per conto proprio. Qualcosa sono riusciti a fare, di tasca propria o tramite le varie associazioni di categoria, ma, in ogni caso, insufficiente rispetto al fabbisogno. «In più s’è verificato un problema con la Protezione civile che, facendo da filtro nella distribuzione, ha finito per dirottare tutti i dispositivi verso gli ospedali, lasciandoci sguarniti».

RISCOPRIRE LA MEDICINA DEL TERRITORIO

In tutto questo marasma, dice Pedrini, qualcosa di positivo c’è: da un lato, la riscoperta sul campo delle motivazioni che hanno spinto personalmente ciascun medico a intraprendere questa professione; dall’altro, l’auspicio che si riscopra «l’importanza della medicina del territorio. Spesso bistrattata, adesso la rivalutiamo. Vedo da parte di tanti cittadini una maggior consapevolezza: spero che questo rimanga nella memoria collettiva».

Foto Ansa

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