
«Nessuno può crescere se qualcuno non lo prende per mano»

Nella serata di lunedì 14 ottobre monsignor Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia, ha calamitato e reso silenziosi utenti una folla di adulti, insegnanti e genitori delle scuole “La Zolla” e “Fondazione Grossman”, parlando di educazione a Milano al teatro Stella.
Ci limiteremo a sottolineare alcuni aspetti di una serata che è stata ricca di argomenti, di esempi di vita vissuta, di problemi che caratterizzeranno le future generazioni. Nel rispondere ad alcune domande monsignor Camisasca ha enucleato una visione di crescita assai accattivante con lucidità, competenza ed arguzia e, fin dai primi minuti, ha spiazzato l’uditorio definendo l’educazione come «una scommessa positiva, un atto d’amore liberamente scelto ed insistito».
Insegnanti e genitori per far fronte all’arrivo di “esseri nuovi” devono essi stessi rinnovarsi e accettare la scommessa di essere portatori di una indomita speranza, parola tabù per la deriva nichilista della cultura dei nostri giorni. Rispondendo poi ad alcune domande sul tema della libertà intesa non come libero arbitrio ma come «adesione a qualcosa che ci fa crescere», Camisasca si è soffermato ad indicare alcuni imprescindibili compiti educativi. Per bambini di scuola materna e primaria il primo compito di un educatore è quello di aiutarli a dare un nome alle cose, a riconoscere il bene e il male, il lupo e l’agnello. Per ragazzi più grandi che sono tentati da un mondo virtuale, è urgente ricondurli alla concretezza della realtà rimettendo al primo posto buone relazioni affettive e un rinnovato impegno nello studio e nella vita.
Condizione ineludibile perché tutto questo possa avvenire è la presenza coinvolgente dei genitori, sia in termini di tempo da condividere coi figli sia in termini di testimonianze di vita che smentiscano il dilagante pessimismo. La passione di trasmettere esperienze e valori deve contagiare anche la scuola il cui ruolo, man mano che aumenta l’età dei ragazzi, diventa sempre più cogente fino ad essere «il luogo in cui avviene la riappropiazione di ciò che ha costituito l’anima di un popolo».
Monsignor Camisasca ha chiuso sinteticamente riproponendo con forza la convinzione che «nessuno può crescere se qualcuno non lo prende per mano».
È stata una lezione di fede e di speranza incarnata in una persona che vive il suo ruolo amando profondamente la vita. E di questo non possiamo che esserne profondamente grati.
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