Nicola Morra è la perfetta impersonificazione della metamorfosi grillina. Se cercate un exemplum cristallino del mutamento antropologico del “cittadino” pentastellato in casta politica, Morra Nicola, classe ’63, professore di liceo calabrese, presidente della Commissione antimafia al Senato, è l’uomo che fa per voi.
Grillino coriaceo, durissimo, intransigente, prototipo umano del “vaffa”, Morra ha sempre contraddistinto la sua azione politica come lotta dura e senza paura contro potenti, consorterie, mafie e massonerie di ogni ordine e grado. Che poi fossero reali o presunte, a Morra è sempre calato ben poco: lui, intanto, denunciava. Lui, intanto, azzannava. Lui, intanto, mordeva alla giugulare. Non a caso, infatti, era uno dei beniamini del Fatto quotidiano.
Morra era uno che, ai tempi dell’esame in aula del disegno di legge anticorruzione, si portava la molletta al naso per dire: la sentite questa puzza? Il Fatto andava in solluchero per uno così.
Morra, tu quoque?
Solo che ora, da quando due giorni fa il Fatto (e chi sennò?) ha scritto che Morra, l’ex paladino dell’anticasta, l’ex talebano dello scontrino, ha osato chiedere indietro l’indennità di carica, cioè i 1.300 euro cui aveva rinunciato nel novembre 2018, tutti si sono messi a dileggiarlo. Morra, tu quoque?
E dunque Morra che scrisse cose terribili quando morì l’ex governatrice della Calabria Jole Santelli, Morra che fece le scenate nell’Asp di Cosenza, Morra che registrava le conversazioni degli avversari per poi denunciarli, Morra che ora piagnucola i due spicci per pagarsi un addetto stampa, Morra è ora diventato un “impresentabile”. Si usa con lui lo stesso metodo che lui usava con gli altri: waterbording senza pietà, tieni la testa sott’acqua e bevi senza fiatare.
Il puro epurato
Uno legge il ritratto che ne ha fatto ieri il Corriere della Sera e vien quasi (quasi, eh) voglia di difenderlo. Ma è una “quasi difesa” importante da evidenziare ogni volta, perché permette di sottolineare che la logica manichea grillina che divide i puri dagli impuri e che fa dei privilegi dei politici il criterio con cui giudicare la politica tout court è una stronzata sempre e a prescindere. È questo modo di pensare la nostra rovina, non le incoerenze dei parlamentari o i quattro denari che si mettono in tasca.
Infatti, come si vede, è la stessa forma mentis che alberga nelle redazioni dei giornali, nei commenti degli opinionisti, nei ritratti feroci contro l’ultimo, in ordine di tempo, puro epurato. Capitò ad Antonio Di Pietro, ora è il turno di Nicola Morra. Avanti il prossimo. Fatto e Corriere della Sera non aspettano altro.
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