
Si dice che qualche buontempone dall’acume fino avesse scritto nel 1977 sui muri dell’Università di Bologna una pasquinata meno scema di quel che appare: «Basta fatti, vogliamo parole». Oggi lo slogan paradossale andrebbe posto come esergo sotto qualche testata di giornale a monito per il cronista che il suo mestiere non è solo quello di scovare e proporre notizie, ma anche quello di collocarle in un contesto, di “spiegarle”, così come si “spiegano” le vele affinché le gonfi il vento. I fatti, come le vele, finché stanno chiusi, non portano da nessuna parte.
Carta canta
Da molti anni, invece, siamo vittime della “tirannia dei fatti”, della “carta canta” (non a caso, titolo di una rubrica di qualche anno fa di Marco Travaglio sull’Espresso), dell’inoppugnabilità dei documenti. Stanchi dei blablabla e delle ipocrisie retoriche, ci siamo consegnati ad un altro tipo di retorica che vuole fare dell’insindacabilità di certi “fatti” le Tavole della Nuova Legge, verità rivelate e dogmi non negoziabili che hanno nei magistrati i loro sacerdoti e aruspici. Così, un certo giornalismo assai pigro – ma in fin dei conti malfidente – ha fatto di questi “fatti” i propri postulati, non solo matematici ma persino morali, prisma con cui dividere il mondo in buoni o cattivi a seconda dell’aderenza o meno ad essi.
Quali fatti?
L’editoriale di Gian Antonio Stella sul Corriere di ieri, ad esempio. Il celebre autore de La Casta (il libro, cioè, all’origine del grillismo) ce l’aveva con Matteo Renzi, buon ultimo, di una serie di politici rivelatisi «garantisti a corrente alternata». Una lunga sfilza di esempi di parlamentari che, a seconda della convenienza, si erano schierati con la magistratura quando questa metteva al gabbio gli avversari, e contro quando andava a toccare loro.
Ecco – concludeva il suo articolo Stella – davanti all’ennesima puntata di un tormentone che, a prescindere dai protagonisti, va avanti da troppi anni, sarebbe ora che il nostro paese vivesse queste cose in maniera diversa. Distinguendo. Guardando i fatti. Le leggi. Le carte processuali. Non schierandosi di qua o di là a priori. E non vale solo per chi governa. Ma anche per tutti quegli italiani che sulla Rete si spaccano in fazioni incattivite, biliose e volgari. Contribuendo a rendere l’aria troppo spesso irrespirabile.
«Guardando i fatti», scrive Stella. Già, ma quali fatti? Questo è il punto. Quali carte? Questo è il punto. Quando il Corriere pubblica le intercettazioni, quelle sono fatti? Quando pubblica le carte dell’accusa, quelle sono le uniche carte? E se poi – per dirne uno a caso: Guido Bertolaso – dopo che hai pubblicato per mesi carte, intercettazioni e quant’altro, rovinato persone e carriere, spinto verso il processo delle persone, quelle poi risultano innocenti, come la mettiamo? Lo diciamo così, giusto per capire cosa intenda Stella per “fatti” e per “carte”.
«È una vaccata»
Stiamo sull’esempio contingente – la messa ai domiciliari dei genitori di Renzi –, e poi il lettore generalizzi ad altri mille casi. Qui i fatti sono figli di un’inchiesta, cioè di quel che dicono i giudici. Le carte sono quelle presentate dall’accusa. Ancora una volta, si ricorre a una forma di limitazione preventiva della libertà prima che si svolga un processo, e che riguarda due persone di settant’anni, incensurate e, come chiunque può facilmente capire, senza che vi siano le condizioni perché tali misure siano adottate (reiterazione del reato, pericolo di fuga, inquinamento delle prove). Ha ragione Feltri: «È una forzatura; al mio paese direbbero è una vaccata».
Anche la Carta costituzionale “canta”
Però Stella, e quelli come lui, che riempiono i giornali di intercettazioni, di brogliacci della Finanza, di documenti passati sottobanco dalle Procure, ci dicono che questi sono “fatti” e che tanto basta per essere dalla parte della ragione e loro del torto. Ma quello di Stella è un imbroglio semantico, che vuol far passare per “fatti” solo quelli messi sotto il cono di luce dal “suo” riflettore. Dalla parte opposta alla sua non ci sono solo i “garantisti con gli amici”, ma coloro – come noi – che pensano che tutti i fatti vadano presi in considerazione, non solo quelli delle indagini preliminari e che – carta canta, art. 27, co. 2, della Costituzione – «l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva».
Insaponare la corda
Il paese educato e garbato sognato da Stella è dunque quello che si sottopone supino alle “carte” pubblicate sui giornali e passate dalla procura prima che si svolga il processo e che fa la morale (ieri a Berlusconi, oggi a Renzi) a chi osa opporsi a questa procedura e a questa tirannia dei “fatti (loro)”. Meglio dunque gli ipocriti che scoprono il valore del garantismo a scoppio ritardato piuttosto che questi sacerdoti che passano il tempo a insaponare la corda con le loro mani pulite.