In un incontro al Meeting di Rimini dedicato alla presentazione della meritoria iniziativa editoriale di Rizzoli, che per il centenario della nascita di don Giussani ha pubblicato un’antologia di brani scelti dal titolo Alle radici di una storia, un passaggio come quello contenuto nell’intervento di Davide Prosperi (attuale presidente della Fraternittà di Comunione e Liberazione) ci voleva proprio: «Di Giussani stupiva la sua capacità di incontro: che si trattasse di un responsabile di comunità o di un taxista, di un compagno di viaggio su un mezzo pubblico o di uno studente, non ha mai sentito nessuno come estraneo, ma tutti sentiva come un dono e come una sua responsabilità».
«Giussani si abbeverava all’altro come una spugna»
«Giussani si abbeverava all’altro come una spugna», ha continuato Prosperi, «lo ascoltava come se fosse l’unico uomo/donna al mondo che gli interessasse. Dedicava un tempo spropositato ai colloqui con le persone e non si imponeva; si insinuava delicatamente negli spazi che la persona gli apriva, e così apriva all’altro strade nuove per la sua persona».
Chi ha letto fossero anche tutti i libri di don Giussani, è entrato in contatto col 50 per cento del suo carisma. L’altro 50 per cento consisteva (e tuttora consiste in molti che ne sono stati toccati) nella sua reale affezione per le persone tutte che incontrava, l’esperienza che ha fatto fare a tantissimi di sentirsi “guardati” da uno sguardo profondo, accogliente, valorizzante. Che è poi una delle caratteristiche irrinunciabili dell’educatore, come sempre Prosperi aveva detto poco prima: «Educatore è chi, avendo incontrato altre persone ed essendosi appassionato al loro volto nel mondo, desidera aiutarle a crescere verso il loro destino».
«Giussani fissa i suoi occhi negli occhi di un altro»
Tutto questo l’aveva in qualche modo introdotto un altro dei relatori, don Luigi Maria Epicoco, teologo e scrittore, quando aveva detto che anche uno come lui, che non ha conosciuto Giussani di persona, poteva rendere testimonianza al riguardo del prete brianzolo «attraverso la contaminazione delle persone che lui (il Gius – ndr) aveva attorno». E che la lettura dell’antologia e di altri testi giussaniani gli hanno fatto maturare il seguente giudizio: «Quando leggi Giussani, non sono mai ragionamenti astratti: senti che si rivolge sempre a qualcuno, che fissa i suoi occhi negli occhi di un altro».
E altri ancora, molto calzanti anche rispetto a vicende contemporanee: «Giussani è uomo nato dall’alto, figlio dello Spirito. Quando lo vuoi imprigionare in una casella, il tentativo fallisce. Giussani, attraversato dallo Spirito, è imprendibile. In lui non c’è una formula da riproporre, c’è da lasciarsi evangelizzare dalla sua testimonianza». «Giussani è l’educatore che sa che la priorità educativa è l’ascolto: occorre permettere all’altro di porre la sua domanda. Se noi forniamo la risposta a una domanda che non c’è, questo significa che in realtà non crediamo veramente nella nostra risposta».
«Siamo solo mendicanti»
Questa applauditissima conclusione l’ha ampliata verso la fine del suo intervento, quando ha spiegato: «Il dialogo non è una strategia per persuadere, è una professione di fede: non esiste nulla nelle persone e nelle culture che non abbia a che fare con Cristo, perché Cristo è tutto in tutti. Perciò il cristiano che non dialoga compie un atto di apostasia».
Poi, trattando dialogo e incontro quasi come sinonimi: «L’incontro di cui parla Giussani non è il prodotto di una tecnica, è un dono. Quello che spetta a noi di fare non è dire al prossimo “incontrando me incontri Cristo”, ma attraverso un’amicizia e una vicinanza risvegliare nell’uomo la nostalgia di Dio che lo spinga a pregare che l’incontro avvenga. “Siamo solo mendicanti che possono solo desiderare che qualcosa gli cambi la vita”, diceva don Giussani. La Chiesa deve suscitare la nostalgia dell’incontro con Cristo, il desiderio dell’incontro. Dopodiché entra in gioco la Grazia di Dio».
L’educazione alla coscienza critica
C’è un’altra citazione da Giussani che Epicoco ha ripreso per sottolineare una continuità fra il fondatore di CL e un tema di papa Francesco: «”Vi è come un plagio operato dalla mentalità dominante sui giovani. (…) Ci si scarica immediatamente dal punto di visto affettivo nei rapporti con gli altri. E allora ci si rifugia nella compagnia come in una protezione”. Ma Giussani invita, come Gesù nel Vangelo, a prendere il largo. È perché siamo amici che possiamo osare: non siamo amici per rifugiarci fra noi. Questo è anche il senso dell’appello di papa Francesco per una Chiesa in uscita».
Non il presidente della Fraternità, né il sacerdote editorialista dell’Osservatore Romano hanno scritto che «don Giussani è il più grande educatore del Novecento», ma l’autore della prefazione del libro Alle radici di una storia, a cura della laica editrice Rizzoli. Prosperi ha indicato motivi (oltre a quelli decisivi detti all’inizio) che avvalorano un giudizio che potrebbe apparire iperbolico.
«Giussani educava alla coscienza critica, il passato veniva presentato attraverso un vissuto presente perché diventasse un problema sul quale la persona alla fine si pronunciava, prendeva posizione con l’aiuto di una compagnia. Era un padre e un’autorità. Padre perché partecipe della paternità di Dio verso la creatura. Autorità perché aveva la passione di veder crescere l’altro: e l’etimologia di autorità, dal latino augere, indica proprio il far crescere. Crescere per sfuggire alla tentazione del soggiogamento dell’altro, del rendere l’altro dipendente da sé. Voleva che il rapporto personale con lui sfociasse in un rapporto più grande, nella partecipazione dell’altro a una storia santa».
«Un vero educatore non è un angelo»
Ma affermare che era padre e autorità non equivale a dire che fosse perfetto. «Un vero educatore non è un angelo né una persona perfetta. Si diventa educatori anche prendendo coscienza dei propri limiti ed errori. Era anche la coscienza della sua propria fragilità che lo rendeva misericordioso verso la fragilità altrui. E che gli faceva dire di essere mendicante del compimento della propria e altrui umanità, che è forse il senso più profondo della parola “comunione”».
Tutto questo sarebbe solo enfasi e celebrazione senza quell’intensa affezione al destino dell’altro di cui si diceva all’inizio. E che si manifestava anche nella pazienza verso chi non riusciva a seguire. «Un vero educatore sa aspettare, e sa trovare i modi e le vie per mantenersi vicino all’interlocutore, nell’attesa e nel desiderio che scopra che quando si segue Cristo il presente diventa nuovo e affascinante».