Magri, primo assessore comunale con delega al lavoro: «Insensato parlare di precariato»

Di Giuseppe Sabella e Luigi Degan
22 Aprile 2011
Carlo Magri racconta il lavoro a Milano e gli sviluppi della new e net economy milanese nata col Patto per il Lavoro (luglio 2000), accordo territoriale innovativo firmato dal comune di Milano con le associazioni datoriali e sindacali sotto la direzione scientifica di Marco Biagi

«Impossibile lavorare pensando sempre e unicamente ad un lavoro a tempo indeterminato, lo puoi fare in determinati settori ma come fai a pensare con una vita media delle aziende di 67 anni che poi si fondono, si uniscono, si ampliano o muoiono ma non sono mai uguali. Una cosa che invece bisogna assolutamente perseguire è la possibilità che uno abbia la facilità a cambiare il lavoro, la facilità di trovare occasioni, la possibilità di una borsa lavoro in modo da essere aiutati a trovare lavoro».

Carlo Magri, una vita da direttore del personale presso i grossi gruppi dell’economia italiana (Marzotto, Rizzoli, G.T.E., Siemens, Italtel). Assessore al personale del comune di Milano nel doppio mandato di Gabriele Albertini, nel 2000 ottenne la delega al lavoro in seguito al Patto per il Lavoro, sul quale lavorò con Marco Biagi. Oggi presidente di Accademia di Formazione Milano, dal 1987 al 1997 è stato docente presso il Centro per lo studio dei problemi dell’economia del lavoro dell’Università Bocconi.

Ingegner Magri, partiamo dalle linee guida che Marco Biagi ha lasciato a Milano e non solo a Milano. C’è ancora spazio per sperimentare innovazione nel lavoro per esempio nel rapporto pubblicoprivato? Milano tornerà protagonista in Italia?
Non penso che esista un posto privilegiato per determinate politiche del lavoro, esiste la volontà del singolo. Una volta a Milano c’è stata questa volontà che è maturata al tempo di Marco Biagi: un comune così grande non aveva un ruolo istituzionale in questo campo, non c’era un assessore al lavoro. Lo abbiamo conquistato con il Patto per il Lavoro con lo scopo di dare una dignità lavorativa ad alcune fasce deboli del mercato offrendo loro delle possibilità frutto di sperimentazioni anche con contratti a termine ma suffragati da progetti innovativi. Milano è stata la prima città a subire una grande riconversione industriale, Milano una volta era 70% manifatturiera e 30% servizi, ma già da 10 anni è diventata 70% servizi e 30% manifatturiera. C’è stata una riconversione del tessuto sociale produttivo incredibile e con tutte le forme possibili di mestieri, nuovi che nascono, vecchi che muoiono, con tanti lavori artigianali. Una necessità di lavoro artigianale incredibile, di veri professionisti, di idraulici, carpentieri, ecc

Come diceva don Bosco, l’intelligenza è anche nelle mani…
Prendiamo un cuoco, è il sommo artigiano, se avessi un figlio pasticcere sarei il padre più soddisfatto del mondo, cosa me ne frega che faccia il medico o l’avvocato.

Ci dica qualcosa in più sui grossi cambiamenti del mercato globale…
C’è un dinamismo continuo che dovrebbe far pensare sempre a regole migliori a seconda delle situazioni. Che senso ha parlare di precariato come se ognuno di noi avesse il sogno di fare sempre la stessa cosa? Impossibile lavorare pensando sempre e unicamente ad un lavoro a tempo indeterminato, lo puoi fare in determinati settori ma come fai a pensare con una vita media delle aziende di 67 anni che poi si fondono, si uniscono, si ampliano o muoiono ma non sono mai uguali. Una cosa che invece bisogna assolutamente perseguire è la possibilità che uno abbia la facilità a cambiare il lavoro, la facilità di trovare occasioni, la possibilità di una borsa lavoro, una rete vera di offerte di lavoro, in modo da essere aiutati a trovare lavoro. Uno può nascere ingegnere e finire a fare il pasticcere, ci sono laureati alla Bocconi che fanno i baristi e con molta soddisfazione personale.

Come sono cambiate concretamente le realtà produttive?
Dovrebbe essere portato a conoscenza di tutti che cosa è successo in questi anni. Ci sono casi di aziende come ad esempio Marzotto che nel 1960 aveva solo a Valdagno almeno 12500 lavoratori e che poi ha acquisito la Lanerossi che ne aveva 6000; la Bassetti, ne ha acquisite tantissime di aziende, teoricamente poteva essere una azienda da 40000 dipendenti e adesso ne ha poche migliaia. Prendiamo altre aziende come la Olivetti, che ti davano il tempo indeterminato… quello che è successo è sotto gli occhi di tutti.

E per il lavoratore cos’è cambiato? Ma soprattutto, cosa cambierà?
Oggi non esiste più quello che dice io ho la segretaria, oggi uno gira con il suo computer e si sposta continuamente di settimana in settimana perché se tu vivi è difficile che vivi sempre nello stesso territorio perché devi avere un mercato che sia globale. Allora di fronte ad una eterogeneità pazzesca di mestieri e di modalità di lavoro incredibilmente cambiate ci si rende conto o no? Purtroppo quando leggo i giornali si dice e si dice ma non c’è un adeguamento di testa, culturale. Domani le famiglie dovranno vivere, ne sono certissimo, con i genitori che andranno a lavorare e poi rimangono a casa, poi torneranno a lavorare e poi di nuovo a casa. Oggi se uno perde il posto di lavoro cosa fa, si ammazza! Ma non si può andare avanti a ragionare così, domani si lavorerà 15 giorni poi si starà a casa, e i bambini verranno su con questa mentalità nuova, è così che andrà, ne sono certo. E allora che senso ha parlare di precariato? Non ha senso.

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