Caro direttore, in un momento difficile della mia vita, mentre ogni porta mi si chiudeva davanti, mi hai lasciato generosamente il diritto di parola dinanzi al meraviglioso prato smaltato di fiori del tuo pubblico. La semplice possibilità umana di tessere un dialogo, di incontrare persone vive attraverso (si chiama medium) Tempi è stata un’esperienza fantastica di cui ti sarò grato per sempre. Ho appreso del processo disciplinare che l’Ordine dei giornalisti della Lombardia ha aperto nei tuoi confronti per avermi ospitato in questi anni, a titolo gratuito e senza alcuna interferenza da parte tua. I tuoi (e, finora, anche miei…) lettori conoscono perfettamente la mia storia, sono adulti e informati, e si sono certo formati un giudizio sulle mie vicende.
Sono convinto che l’Ordine riconoscerà il tuo buon diritto di direttore a ospitare contributi anche di chi non è iscritto all’albo. Nel frattempo, con viva sofferenza e nella percezione di un diritto fondamentale violato, ti comunico la mia decisione di interrompere il dialogo che settimanalmente ho intrattenuto con i tuoi lettori, almeno fino a quando sarai sciolto da qualsiasi imputazione che ti riguardi a causa mia. Con tanta amicizia, e ciao a tutti (sono ancora vivo, ragazzi).
Renato Farina
Saluto con affetto Renato. Quanto al procedimento disciplinare che mi vedrà comparire in giudizio davanti al Consiglio lombardo dell’Ordine dei giornalisti, ecco quanto può essere interessante conoscere al lettore.
Il Consiglio vuole “verificare”, in primo luogo, se il direttore di Tempi sia stato in concorso con il presunto esercizio abusivo della professione giornalistica (art. 45, legge 69/1963) da parte di Renato Farina. In secondo luogo, se abbia violato le regole deontologiche di lealtà e buona fede. Cominciamo da qui.
Farina, come è noto, è cittadino e parlamentare italiano; non iscritto all’Odg ma certamente non “radiato” dall’Odg. Quest’ultimo aspetto è rimarchevole. Infatti, l’ipotesi sostenuta dal presidente dell’Odg della Lombardia nel suo avviso di comparizione è «violazione del dovere di lealtà e buona fede, nel fatto che collabori stabilmente con Tempi il signor Renato Farina già iscritto all’albo dei giornalisti della Lombardia dal quale è stato radiato e dal quale si era comunque dimesso». Purtroppo, questa formulazione non corrisponde a realtà. E non corrisponde perché il presidente dell’Odg della Lombardia sa perfettamente – per dirla con la Decisione n. 15/2012 del Consiglio nazionale dell’Odg – che «la sentenza della Suprema Corte ha cassato la decisione con cui il Consiglio nazionale dell’Ordine aveva radiato il giornalista professionista Renato Farina e ha annullato la relativa sanzione in quanto essa non poteva essere irrogata perché il giornalista si era volontariamente cancellato dall’albo prima che il Consiglio nazionale decidesse la sanzione nei suoi confronti». Dunque: «Violazione del dovere di lealtà e buona fede» in quanto Farina «è stato radiato e si era comunque dimesso»? Ma se lo stesso supremo Consiglio nazionale dell’Ordine ha stabilito che non vi è niente di discutibile (e neppure di hegeliana “et et” sintesi degli opposti), ma soltanto “da accettare”, nella sentenza della Suprema Corte che ha «cassato» e «annullato» la radiazione di Farina, come si fa a non prenderne atto? Come si fa a insistere – e per di più nell’ambito di un avviso formale, disciplinare, con contestazioni di carattere giuridico e deontologico – sulla formula che ribadisce ancora una volta, erratamente, che «Farina è stato radiato»?
Per carità, non voglio litigare. Né (ovviamente) ho nulla da guadagnare a irretire presidente e colleghi del Consiglio. Neanche mi passa per la testa l’ideuzza di snobbare il Consiglio buttandola in caciara (giuro che non parlerò più, né qui né altrove, di questa faccenda fino al giorno del giudizio). Però, ragiono. Però devo chiedermi cosa mai possa aver giustificato un provvedimento d’ufficio così grave (l’ennesimo, dopo quelli contro Vittorio Feltri e Alessandro Sallusti, e con rilievi anche penali) in un paese dove qualunque intellettuale o manigoldo può scrivere e pubblicare ovunque le proprie opinioni. Mentre Farina no. Mentre Farina è un appestato. Mentre Farina è un pirla che si può radere al suolo e cancellare dalla faccia dei giornali perché ha subìto una condanna per aver collaborato con i servizi segreti di sicurezza italiani (avesse collaborato contro la sicurezza degli italiani forse sarebbe stato diverso?).
E qui mi taccio. Perché per questo e per l’altro rilievo sotto “verifica”, non vedo l’ora di comparire in Consiglio. E documentare, “in principio di diritto e di fatto”, che trattasi di ipotesi che non esistono alla luce della Costituzione italiana. E, così a me pare, non esistono nemmeno dipinte sulla prima pagina dell’Unità, tipo quella dell’edizione del 3 giugno 1946 – nasce la Repubblica Italiana, rinasce la libertà di pensiero, parola, scritto – affissa all’ingresso degli uffici del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti lombardo che mi giudicherà il prossimo 21 febbraio.
Luigi Amicone