Il caso del bambino indù che voleva assolutamente andare a scuola. E dopo averne costruita una di bambù e aver incontrato un prete, ha girato il mondo prima di tornare in Bangladesh. Dove oggi gestisce 69 istituti in cui dà un’educazione a 7.000 ragazzi poveri
Alle piogge monsoniche era abituato, anche ai racconti sugli uomini divorati dalle tigri acquattate tra le mangrovie. Ma Swapon non ci faceva caso: aveva sette, forse otto anni quando si mise in testa con altri due piccoli amici di imparare a leggere e scrivere. Ogni mattina si incamminava dal suo villaggio, un posto che avremmo detto dimenticato da Dio nel Sud-Ovest del Bangladesh per raggiungere la scuola elementare statale, e appena arrivato correva in fondo alla classe, apriva la piccola stuoia che si portava da casa e seguiva la lezione seduto nella polvere.
«Perché non c’è posto per me e i miei amici?», chiedeva ai suoi genitori ogni volta che tornava a casa, «perché non posso sedermi sulle panche come gli altri?». «Perché questo è il nostro destino», gli rispondevano mamma e papà, «stare per terra». Siamo in Bangladesh, in un periodo indefinito tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, Swapon e la sua famiglia sono d...