
L’idea inedita di Cossiga sulla riforma della giustizia
Il Diavolo della Tasmania ha ritrovato tra le sue carte un inedito di Franco Mauri alias Francesco Cossiga. È il nocciolo della sua proposta di riforma della giustizia. Poi dicono che non esiste la Provvidenza. Cossiga resta il più acuto lettore della vicenda giudiziaria italiana. Anche adesso da lassù credo voglia mandare qualche consiglio, con l’avvertenza che se non sarà ascoltato verrà giù a tirare i piedi a qualcuno di notte, così impara.
Se uno vuole può trovare una proposta di riforma del Csm molto interessante, firmata da Cossiga al Senato e dal sottoscritto alla Camera. Ma in fondo sono cose complicate. La faccenda più semplice è eliminare l’obbligatorietà dell’azione penale, che è una bugia gigantesca, e serve ai magistrati per scegliersi loro il reato da perseguire senza spiegare i criteri da essi seguiti, senza rispondere a nessuno, tranne che al loro futuro elettorato (vero Di Pietro, D’Ambrosio, Casson?). Oggi infatti che cosa accade? Che i reati commessi sono così tanti che per forza se ne deve trascurare qualcuno. Il risultato è la totale arbitrarietà acquisita come diritto dai pm. E non c’è nulla di più ingiusto dell’arbitrio mascherato da volontà purificatrice. Eccoci a Cossiga:
Se la divisione delle carriere non fosse accompagnata da una profonda riforma istituzionale dell’intero ordinamento giudiziario i danni sarebbero enormi. E questa riforma dovrebbe anzitutto gerarchizzare al suo interno il pubblico ministero e responsabilizzarlo democraticamente o con la temporaneità e la elettività degli uffici – come in Svizzera e nella più parte degli Stati dell’Unione americana – o facendolo rispondere al Parlamento nazionale e insieme abolendo la obbligatorietà dell’azione penale (o, per meglio dire, rendendo responsabile il pubblico ministero della scelta, oggi del tutto arbitraria, dei reati da perseguire di preferenza). Ma questa riforma è impossibile ora, e dunque questa separazione procurerebbe solo guai. Se, senza riforma dell’ordinamento, i pm facessero corpo a sé, si verrebbe a creare un centro di potere autonomo, dotato di autorità arbitraria immensa, autoreferente, avente perfino il suo braccio armato nelle forze di polizia e, ormai con l’attuale andazzo, soprattutto nelle polizie speciali: Dia, Ros, Sco e, molto meno, Gico. Un autentico disastro per la libertà dei cittadini e per lo Stato di diritto.
Perché invece Berlusconi non pensa a riforme più semplici? La limitazione dei poteri del pubblico ministero, ad esempio: basterebbe riportarli entro il dettato costituzionale. Ancora: la restituzione alle forze di polizia degli interi antichi poteri di indagine entro limiti territoriali definiti. Inoltre: l’attribuzione dell’esercizio dell’azione penale ai titolari degli uffici e solo per delega ai loro sostituti. Infine. Il rafforzamento dei procuratori generali, eventualmente dando a essi un vertice, come pensava Calamandrei: una specie di procuratore supremo o di “commissario di giustizia”, titolare di poteri reali e magari, insieme al Parlamento, come propone il Zagrebelsky (quello, tra i due fratelli, buono, il magistrato cioè, e non il “giudice costituzionale militante”), il potere di stabilire l’ordine di preferenza nell’esercizio dell’azione penale.
Forse Berlusconi sfuggirebbe alle critiche del “Pupo” del Quirinale, del “Corvo” del Palazzo dei Marescialli e a quelle dell’on. Schulz e dei suoi sostenitori principi, Fini e Follini. E magari il cancelliere Schroeder verrebbe a passare le vacanze in Italia e nel nostro paese potrebbe – e perché no? – trovare la sua quinta moglie.
Era il 9 luglio del 2003 quando mi inviò queste note. Non sarò io a dire chi sia il Pupo al Quirinale e il Corvo del Csm. Ma loro lo sanno.
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