Anticipiamo un articolo tratto dal numero di Tempi in edicola da giovedì 30 giugno (vai alla pagina degli abbonamenti) – Il recente voto spagnolo è stato letto come un enigmatico segnale di controtendenza rispetto al populismo di destra e di sinistra che starebbe dilagando in Europa, un voto di conservazione e di paura dell’ignoto da parte di elettori che ancora non vogliono rinunciare al bipartitismo di fatto dell’era postfranchista. Ma la vittoria del Partito popolare (Pp) di Mariano Rajoy che ha migliorato di oltre 4 punti percentuali il risultato di dicembre, e il mancato sorpasso di Podemos ai danni del Partito socialista (Psoe) hanno spiegazioni politiche molto chiare.
La prima è che l’alleanza del movimento antisistema di Pablo Iglesias con la sinistra radicale e comunista si è rivelata un errore: Podemos ha cessato di essere la novità del panorama politico ed è stato percepito come una camaleontica riedizione della sinistra massimalista. Insieme la formazione guidata da Iglesias e la coalizione di Sinistra Unita hanno raccolto un milione di voti in meno rispetto a quelli che, separati, avevano ottenuto in dicembre.
La seconda ragione del mancato sorpasso di Podemos sul Psoe è che il leader di quest’ultimo, Pedro Sanchez, ha impostato tutta la sua campagna sul rigetto di qualsiasi ipotesi di grande coalizione alla tedesca col Pp, il partito che nelle intenzioni di voto risultava favorito. Gli elettori tradizionali del Psoe si sono sentiti rassicurati e non hanno avuto bisogno di spostare i loro voti sul nuovo partito di sinistra per continuare a sentirsi alternativi alla politica di Rajoy come in passato del suo predecessore José Maria Aznar.
Infine va segnalata la tendenza dei mass media spagnoli, influenzati dalla cultura di sinistra maggioritaria fra i giornalisti, a sopravvalutare la forza di Podemos e a sottostimare il radicamento sociale di socialisti e popolari.