
Good Bye, Lenin!
L’avventura dei clown ospedalieri di San Pietroburgo
La dottoressa Gianka ha un ruolo un po’ speciale: far divertire i bambini. E come lei gli altri «dottori» del gruppo LenZdravKloun, il nome buffo e impronunciabile dell’associazione no profit di clowns ospedalieri che opera a San Pietroburgo. Del resto, la fondatrice Dar’ja Zarina – in arte dottoressa Gianka, appunto – ha un viso talmente espressivo che non puoi fare a meno di ridere appena la vedi.
L’avventura dei clown ospedalieri è iniziata nell’antica capitale imperiale nel settembre 2009 presso il centro di oncologia pediatrica del quartiere Pesočnyj: «Eravamo dei volontari tremebondi vestiti da pagliacci – ha raccontato Dar’ja in un’intervista, – e siamo stati subito circondati da affetto e sostegno». Da allora ci tornano ogni settimana.
Appuntamento fisso anche con i piccoli degenti degli hospice pediatrici di Pavlovsk, di Ol’gino, dell’Istituto per bambini con disabilità mentali, del centro di terapia protonica dove li accompagnano all’anestesia.
«Immaginati di avere tre anni – ha raccontato Dar’ja in un’intervista, – sei malato, sei a letto in un ospedale dove ti iniettano costantemente qualcosa, e improvvisamente appare un tipo vulcanico, in abiti sgargianti, con un nasone rosso in mezzo alla faccia, e i tuoi genitori insistono che devi starlo a sentire. Sì, chiunque ne sarebbe spaventato!». Per questo il loro approccio è graduale, sinergico, catturano la mente dei piccoli pazienti in modo da ottenere benefìci anche a livello somatico, perché l’organismo reagisce in modo unitario, tanto più se vengono coinvolti anche i familiari.
Con i bambini si improvvisa, ma bisogna sempre stare in guardia, «non si possono fare scemate, prima di tutto perché non è per niente divertente e, in secondo luogo, siamo responsabili di quello che facciamo. Se vuoi essere un bravo clown, certo occorre essere un po’… fuori, ma quel che fai dev’essere come una reazione nucleare controllata. (…) È difficile da spiegare a parole, all’apparenza vedi solo un pagliaccio buffo che sta giocando con i bambini».
«Tutto è cambiato per me, in modo strano – prosegue Dar’ja, di formazione economista e matematica. – Certo, ho sviluppato anche un po’ di cinismo professionale, perché ogni settimana vedi decine di bambini malati di cancro e diventa qualcosa di scontato (…). Si aspettano che tu abbia già visto tutti gli orrori possibili e che quindi che non si abbia paura. Non è affatto così (…). Ho molta più paura degli altri, perché so cosa temere, conosco le sofferenze dei bambini e in quale inferno si trasforma la vita dei loro genitori. E penso che siano degli eroi, e che se mi trovassi io in una situazione simile, non sarei in grado di affrontarla».
Un’avventura, quella della clownterapia, che l’ha avvicinata anche al fattore religioso: «Quanto più faccio questo lavoro, tanto più cresce in me la fede, la percezione che Dio esista, che sia presente. Ho iniziato a relazionarmi in un modo diverso non con la morte, ma con la vita, ho iniziato ad apprezzarla moltissimo. Non si è trattato di un’euforia passeggera, è stato un cambiamento lento, che alimento con le mie decisioni quotidiane. Ripenso al tempo perso per le baggianate: al risentimento, alle chiacchiere, alle cose meschine. La cosa più importante è la capacità di amare la vita e di goderne, di percepire la natura: l’hai sempre avuta a disposizione, ma ora lo capisci, è un compito spirituale che avrà bisogno di molto tempo».
È essenziale il contatto diretto, stare col bambino – spiegano gli artisti – essere sulla sua lunghezza d’onda.
Ma come fare ora, in tempo di coronavirus (circa 500 casi a Pietroburgo), quando anche i clownterapeuti hanno dovuto sospendere la loro attività? Così per non perdere i legami con il loro pubblico si sono attrezzati online collegandosi da casa – una soluzione che verrà utile anche quando ricomincerà l’influenza stagionale. E non è una cosa semplice, che si possa improvvisare con uno smartphone.
Il chirurgo Michail Čerkaškin che lavora al Centro di terapia protonica è un fan convinto del LenZdravKloun: «Dall’inizio della quarantena sentiamo la loro mancanza, i clown fanno parte di tutta la squadra e contribuiscono a fare in modo che la cura sia massimamente efficace e psicologicamente non traumatica. Perciò sosteniamo le trasmissioni online, ne comprendiamo l’importanza per i nostri piccoli pazienti».
Perché, come dicono gli stessi artisti, «siamo convinti che l’infanzia non debba far pausa tra le pareti di un ospedale».
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