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La storia di Edgardo Mortara che Bellocchio non racconta

Il film "Rapito" ha una lettura univoca dei fatti ed evita di prendere in considerazione il memoriale che lo stesso Edgardo scrisse

Luca Del Pozzo
26/05/2023 - 0:10
Spettacolo
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Al Corriere della Sera il regista Marco Bellocchio ha detto che non ha «mai pensato di fare un film contro la Chiesa”, no; il fatto è che lo “affascinava, di questa storia, la cecità della religione». Insomma, se in un tempo non molto remoto l’atteggiamento di certa intellighenzia radical chic, quella per capirci non beceramente atea cui faceva da pendant in ambito ecclesiale la figura del cattolico “adulto” quando non quella ossimorica del cattocomunista tout court, si riassumeva nel motto “Credo in Dio, nella Chiesa no” (con la variante “Cristo sì, Chiesa no”), ora siamo passati ad un più benevolo “non ce l’ho con la Chiesa, ma con la religione quando è cieca”.

Ce ne rallegriamo. Spiace invece dover constatare che non è cambiato affatto l’approccio ideologico di certo laicismo, quello plasticamente riassunto nella massima “se i fatti smentiscono le idee tanto peggio per i fatti”, attribuita al maître à penser dell’idealismo da cui discende ogni ideologia, cioè Hegel. Stiamo parlando di Rapito, il film di Bellocchio presentato a Cannes nei giorni scorsi, e che ha per oggetto il cosiddetto “caso Mortara”, ossia la vicenda del piccolo Edgardo, un bambino ebreo che trovandosi in gravissime condizioni di salute al punto che per i medici gli restavano poche ore di vita, venne battezzato all’insaputa dei genitori dalla domestica cattolica (per altro assunta violando le leggi del tempo), e dopo diversi anni sottratto alla famiglia per essere cristianamente educato come era preciso obbligo della Chiesa fare in ossequio, di nuovo, alle leggi ecclesiastiche e civili dell’epoca (per inciso: Edgardo fu sottratto ai familiari solo dopo che questi, sobillati anche da quegli ambienti, con in testa Napoleone III, che colsero la palla al balzo per creare un caso internazionale contro la Chiesa, rifiutarono ogni tentativo di conciliazione da parte di Pio IX. Non si trattò insomma di un rapimento nel senso di un evento improvviso, quanto piuttosto di un sequestro forzato e, soprattutto, annunciato).

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Padre Pio Mortara

Fu così che all’età di sette anni, nel 1858, Edgardo Mortara entrò in un collegio ecclesiastico di Bologna da dove uscì a seguito dell’intervento della polizia richiesto dai Mortara, per essere portato a Roma e lì restare venendo accolto con ogni premura da Pio IX che si prese cura di lui finché il Pontefice restò in vita. Il giovane Mortara non solo non si ribellò mai né nutrì rancore nei confronti della Chiesa, ma anzi considerò sempre la Chiesa come l’approdo, la meta cui la Provvidenza lo aveva destinato. Non solo: quando i piemontesi invasero Roma scappò di notte dal seminario dove liberamente era voluto entrare, pur di non essere “liberato” dal giogo ecclesiastico; divenne quindi religioso entrando nell’Ordine dei Canonici Regolari Lateranensi assumendo il nome di Pio in ricordo di chi lo aveva “rapito” anni addietro e nei confronti del quale nutrì sempre devozione e riconoscenza contro il giudizio di condanna del mondo.

Padre Pio Maria Mortara morirà quasi novantenne in Belgio nonostante una salute cagionevole, dopo una vita di apostolato e missione, di penitenza e preghiera.

Il battesimo in articulo mortis

Questa però non è la storia che racconta il film di Bellocchio. A partire dal gesto della domestica, Anita Morisi, la quale vedendo il bambino in fin di vita e ricordandosi da buona cattolica quanto prescrive la Chiesa sul battesimo di necessità ovvero in articulo mortis per cui se una persona sta per morire dev’essere battezzata senza indugio, prende e battezza il piccolo sperando che così possa andare in Paradiso.

Una decisione senza dubbio difficile e sofferta, ma che si fa fatica a capire (o meglio si capisce, eccome) come si possa definire “maldestra e ambigua” secondo il pacato giudizio dell’esperto inviato del Corsera. Oltretutto, accade un imprevisto che metterà la povera domestica ancora più in agitazione: dopo il battesimo il piccolo Edgardo da che era in fin di vita riprende pian piano vigore fino a ristabilirsi completamente. Per la gioia dei genitori e la disperazione della Morisi che realizzò in un baleno ciò che le sarebbe accaduto se avesse rivelato la verità.

Conversione coatta

Come pure il fatto stesso del sequestro, definito manco a dirlo sempre dal suddetto inviato un “gesto di inaudita violenza” che derivava dal fatto che il battesimo così impartito portava “in nome del diritto canonico alla conversione coatta al cattolicesimo”, stravolgendo in due parole senso e significato di ciò che era non solo, a meno di non voler rileggere la storia secondo i canoni della cancel culture (anche no, grazie) prassi consolidata secondo le leggi dell’epoca, ma soprattutto un atto di carità che la Chiesa doveva nei confronti di una persona divenuta un figlio di Dio essendo stata battezzata pur in circostanze straordinarie.

La qual cosa l’espressione “conversione coatta” rende molto poco e male. Tra l’altro, sul punto giova ricordare il non banale dettaglio che oltre al dovere, per così dire, formativo, la Chiesa voleva evitare in tutti i modi che il piccolo Mortara fosse costretto ad una violenta e forzata apostasia a causa del montare della protesta tanto della comunità ebraica che dei suoi sostenitori.

Bellocchio e papa Francesco

Per non parlare del giudizio che lo stesso Bellocchio dà di tutta la vicenda, quando dopo aver detto che per gli ebrei quella di Edgardo Mortara non fu vera conversione (francamente ci saremmo stupiti del contrario, ma tant’è) afferma senza mezzi termini che “comunque la pagò con sofferenza e lunghe malattie”; e come se non bastasse quando “diventò sacerdote cercò di convertire ma senza alcun esito: convertì solo se stesso”.

Ora, sorvolando sulla battuta finale che forse avrà fatto ridere solo lui e sulla stravagante idea di conversione che Bellocchio nutre, come se a convertire non fosse Dio ma gli uomini, ciò che colpisce è l’idea che Bellocchio ha di padre Pio Maria Mortara come di uno che non soltanto ha pagato caro – “con sofferenza e lunghe malattie”, che tra parentesi in un’ottica di fede sono benedizioni e non maledizioni, ma lasciamo stare – il suo essere diventato cattolico; ma che oltretutto ha fallito miseramente nella sua opera di apostolato perché non convertì nessuno tranne se stesso – e qui ci tocca riaprire una parentesi: intanto ci preme ricordare, giusto per la cronaca, che padre Mortara tanto fallito era che i confratelli del suo ordine, per la fama di santità che lo circondava, avevano intenzione di avviare il processo di beatificazione che solo lo scoppio della seconda guerra mondiale impedì; secondo, e cosa più importante: deve sapere, egregio Bellocchio, che ciò che agli occhi del mondo è un fallimento, presunto o reale che sia, agli occhi di Dio acquista tutt’altro significato. Né si misura il successo o l’insuccesso di un predicatore, catechista o missionario che sia a seconda della quantità di gente battezzata o “convertita”; così ragionava Stalin, non Gesù Cristo. E sappiamo com’è andata a finire per entrambi, vero? Chiusa parentesi.

Insomma, dal film di Bellocchio – il quale nonostante i propositi ricordati in apertura alla fine dell’intervista non manca di rivolgere un pensiero affettuoso alla Chiesa dicendo che “papa Francesco cerca di mettere in discussione qualcosa, sui divorziati e gli omosessuali” e ammonendo che “deve aprire sennò la Chiesa non avrà futuro”, non so se mi spiego – dal film di Bellocchio, dicevamo, ne esce la solita, trita e consunta immagine di una Chiesa ottusa, vessatrice e che non si faceva scrupoli financo a strappare dagli affetti più cari un bambino battezzato in fretta e furia pur di farlo cristiano.

Il memoriale

E dire che sarebbe bastato davvero poco per raccontare la vera storia di Edgardo Mortara come l’abbiamo riassunta all’inizio, piuttosto che rifarsi ad un libro di Daniele Scalise del 1996 che riciccia la leggenda nera che il film reitera. Si dà infatti il caso che sia stato lo stesso padre Pio Maria Mortara a chiarire come siano andate le cose. Mettendo nero su bianco la sua vicenda in un memoriale, scritto nel 1888 a trentasette anni, rimasto inedito per un secolo e mezzo e pubblicato nel 2005 con una lunga e documentatissima introduzione da Vittorio Messori, che lo aveva scovato negli archivi romani dell’Ordine dei Canonici Regolari Lateranensi.

Memoriale in cui Edgardo Mortara smonta da cima a fondo la versione anticlericale degli eventi che lo videro protagonista e che lo presentavano, e tuttora lo presentano, come una vittima della Chiesa. Basti questo passaggio dove racconta di come agì Pio IX quando venne informato dei fatti.

«Questo glorioso e immortale pontefice, che vive e vivrà sempre nella memoria e nel cuore del mondo cattolico, agì in questa vicenda guidato da una di quelle istantanee intuizioni della verità e da una di quelle ispirazioni segrete che saranno rese note presto o tardi, quando vedremo brillare sulla sua fronte augusta l’aureola dei santi. Senza tentennamenti, ordinò al signor arcivescovo di Bologna di dare un delicato incarico al padre Feletti (presidente del secondo tribunale dell’Inquisizione, nda). Facendo leva su tutti i mezzi di persuasione possibili, questi avrebbe dovuto far capire ai genitori di Edgardo che la Chiesa aveva il dovere e l’obbligo ineludibile di farsi carico dell’educazione religiosa del bambino».

E come ricordammo all’inizio, fu solo innanzi alla risoluta e irremovibile volontà della famiglia Mortara di non accettare la mediazione proposta dalla Chiesa, che Pio IX si vide costretto alle maniere forti. Maniere forti di cui, dice lo stesso Edgardo nel memoriale, «sarebbero stati responsabili gli stesi genitori del bambino» in quanto prendendo in casa una domestica cattolica avevano contravvenuto alle leggi dello stato pontificio all’epoca vigenti. «Potevano ora ben accettare il lenitivo che si offriva loro, con il progetto di mettere il bambino in un collegio cattolico della stessa Bologna (finché non avesse raggiunto la maggiore età)».

Almeno i fatti

Potremmo andare avanti a lungo. Ripeto: sarebbe bastato non dico leggere ma quanto meno sfogliare anche distrattamente il memoriale di padre Pio Maria Mortara per avere una lettura dei fatti ben diversa da come furono invece raccontati (tra l’altro, il libro di Messori è del 2005, di circa un decennio posteriore a quello di Scalise, oltre al fatto che Messori, sia detto con tutto il rispetto, può vantare forse un’affidabilità quando di tratta di faccende di Chiesa che Calise non sembra avere).

Ora la cosa sorprendente, e che se possibile aggrava tutta la faccenda, è che effettivamente sembra che Bellocchio o chi per lui il memoriale di Edgardo Mortara l’abbia effettivamente letto. Almeno, questo è quanto si evince dall’intervista pubblicata su Sette del 26 maggio, dove in due occasioni fa riferimento al memoriale che egli chiama autobiografia. Non solo: Bellocchio stesso ricorda nell’intervista come venne a conoscenza della vicenda in questione una quindicina di anni fa incappando per caso in un articolo del Corriere della Sera che parlava proprio del libro di Messori.

Da lì gli venne l’interesse: «quella storia – che io non conoscevo assolutamente – poteva essere potenzialmente molto interessante. E ho iniziato a documentarmi». Documentarsi, certo. Salvo tuttavia dare alla fine più credito non – come ci sarebbe aspettati – al memoriale scritto di suo pugno dal protagonista della vicenda, no, ma ad un libro uscito oltretutto dieci anni prima. Col risultato di ritrovarci un film a dir poco mistificatorio. Chapeau. D’altra parte, se uno arriva a dire che Messori «utilizzava la biografia dello stesso Mortara per difendere Pio IX e ribadire che quello tutti consideravano (e considerano) un vero e proprio rapimento era accaduto senza che fosse stata esercitata alcuna violenza», quando è padre Pio Maria Mortara – lo abbiamo visto poc’anzi – che difende lui per primo, non Messori, Pio IX, è tutto estremamente chiaro. Proprio come diceva Hegel: “se i fatti smentiscono le idee tanto peggio per i fatti”. Appunto.

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