La grande impresa in Emilia-Romagna e Umbria
Emilia-Romagna
Non andiamo bene nella gestione della cosa pubblica. Ma la grave malattia delle società contemporanee e delle loro organizzazioni non risiede soltanto nella pochezza di tanta classe dirigente quanto piuttosto nel venir meno della società civile, nel suo ritirarsi dall’impegno sociale e politico: una ritirata che, nel tempo, si rivela mortale per la democrazia. Ciò che più stupisce è che questo stato febbricitante sembra andare bene a tutti: a chi governa la Regione (con delega pressoché totale) e a chi è governato (legittimato a lamentarsi, come premio del suo disimpegno). Lo stato deprimente degli uni è speculare a quello di sofferenza degli altri. E, ancora più precisamente, delle relazioni tra loro. Un potere che continui a considerare la persona nella sua solitudine (il cittadino e i suoi diritti) è un potere che presto o tardi la elimina, perché la persona è fatta delle relazioni che la costituiscono: la persona sola (l’individuo) è invece terreno fertile per un potere senza argini.
Noi non crediamo all’utopia deprimente di “sistemi talmente perfetti che nessuno avrebbe più bisogno di essere buono” (T.S. Eliot); non crediamo alle ricette semplici che sollevano dal prendersi cura delle relazioni più fragili, quelle di chi deve essere introdotto nel mondo e di chi deve essere accompagnato a lasciarlo; non crediamo a una cultura che cancella le differenze invece di valorizzarle; non crediamo a una politica che pensa di sostenere chi fa fatica a campare attraverso l’assistenzialismo (che diventa immancabilmente clientelismo); non crediamo, infine, a chi riduce la persona alle sue sensazioni privandola così del suo vertice espressivo: contribuire al bene comune.
Noi crediamo nella politica che considera il cittadino come espressione dei legami che lo costituiscono; crediamo nella politica che, in forza di questo, promuove misure di sostegno alla famiglia (prima dimora, primo mattone della democrazia, struttura essenziale per la sua sussistenza); crediamo nella politica che, intorno alla persona e alle sue relazioni, riformula l’impegno delle risorse da destinare all’educazione e alla cura; una politica capace di superare ogni forma di pregiudizio ideologico, di mettere in sinergia le risorse e le competenze pubbliche con quelle private, di valorizzare i tentativi di imprese e imprenditori, opere di carità, associazioni, reti di solidarietà (tesori della nostra Regione).
Il vertice dell’espressività personale è la grande impresa umana di farsi carico delle risposte che la vita sollecita in noi e in chi ci sta a cuore. Il vertice è l’uomo che lavora. L’istituzione ha il compito di sostenere (si chiama “sussidiarietà”) questo tentativo che normalmente mette insieme gli uomini: la partecipazione alla vita pubblica può ripartire solo di qui. Prima che dei politici, è una responsabilità nostra: dobbiamo ricostruire un tessuto sostenendo quei pochi che comprendono la centralità assoluta di questa grande impresa umana.
Il nostro voto andrà perciò alle persone che vogliono impegnarsi su questo: se è vero che uomini di buona volontà possono militare in ogni partito (ed è sempre una felice sorpresa incontrarli), è altrettanto vero che nella nostra Regione ci si è mossi, da oltre mezzo secolo, in direzione opposta.
Umbria
Il lamento è un ripiego facile e sterile: la grave malattia delle società contemporanee e delle loro organizzazioni non sta soltanto nella pochezza di tanta classe dirigente quanto piuttosto nel venir meno della società civile, nel suo ritirarsi dall’impegno sociale e politico: una ritirata che, nel tempo, si rivela mortale per la democrazia. Ciò che più stupisce è che questo stato febbricitante sembra andare bene a tutti: a chi governa, perché in fondo beneficia di una delega pressoché totale, e a chi è governato, che si sente così legittimato a lamentarsi come premio del suo disimpegno.
Un potere che continui a considerare la persona nella sua solitudine (il singolo cittadino e i suoi diritti) è un potere che presto o tardi la elimina, perché la persona sola (l’individuo) è terreno fertile per un potere senza argini. Ma anche la prospettiva dei cittadini come categoria collettiva astratta è una subdola visione massificante che non tiene conto delle specifiche esigenze delle realtà sociali concrete. La persona è fatta delle relazioni che la costituiscono, a partire dalla famiglia e dai luoghi in cui la sua personalità si sviluppa, garantendone libertà di pensiero critico e di azione, costituendo un terreno operoso che ne sostiene la visione, la condivisione e la speranza.
Noi non crediamo all’utopia deprimente di “sistemi talmente perfetti che nessuno avrebbe più bisogno di essere buono”; non crediamo alle ricette semplici che sollevano dal prendersi cura delle relazioni più fragili, quelle di chi deve essere introdotto nel mondo e di chi deve essere accompagnato a lasciarlo; non crediamo a una cultura che cancella le differenze invece di valorizzarle; non crediamo a una politica che pensa di sostenere chi fa fatica a campare attraverso l’assistenzialismo (che diventa immancabilmente clientelismo); non crediamo a chi vede nell’intrapresa personale un’azione antagonista al benessere collettivo; non crediamo infine, a chi riduce la persona alle sue sensazioni privandola così del suo vertice espressivo: contribuire al bene comune.
Noi crediamo nella politica che considera il cittadino come espressione dei legami che lo costituiscono; crediamo nella politica che, in forza di questo, promuove misure di sostegno alla famiglia (prima dimora, primo mattone della democrazia, struttura essenziale per la sua sussistenza); crediamo nella politica che, intorno alla persona e alle sue relazioni, riformula l’impegno delle risorse da destinare all’educazione e alla cura; una politica capace di superare ogni forma di pregiudizio ideologico, di mettere in sinergia le risorse e le competenze pubbliche con quelle private, di valorizzare i tentativi di imprese e imprenditori, opere di carità, associazioni, reti di solidarietà.
Il vertice dell’espressività personale è la grande impresa umana di farsi carico delle risposte che la vita sollecita, nell’individuo e in chi gli sta a cuore. Il vertice è l’uomo che lavora, mettendosi insieme ad altri per rispondere a dei bisogni concreti. L’istituzione ha il compito di sostenere questo tentativo, si chiama “sussidiarietà”: la partecipazione alla vita pubblica può ripartire solo di qui.
Il nostro voto andrà perciò alle persone che vogliono impegnarsi su questo: se è vero che uomini di buona volontà possono militare in ogni partito, è altrettanto vero che essi non hanno margini di azione incisiva nelle coalizioni di centro-sinistra, che da sempre si muovono in maniera ideologica in direzione opposta: su inizio e fine vita, su famiglia, educazione, questione antropologica, sostegno alle imprese. Per questo crediamo importante sostenere la coalizione di centro-destra, che, sia a livello nazionale che regionale, sta dimostrando attenzione ai temi a noi cari, citiamo ad esempio le misure adottate dalla Regione a sostegno della famiglia, la lotta alla denatalità, alla cultura gender; il sostegno alle imprese, all’occupazione, ai Care-giver, agli Oratori, alla Caritas; la valorizzazione e promozione del territorio. Prima che dei politici, è una responsabilità nostra: dobbiamo ricostruire un tessuto sostenendo quelli che comprendono la centralità di questa grande impresa umana.
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