
Tentar (un giudizio) non nuoce
La bellezza di essere prete

Arrivo tardi questa settimana col mio articolo e mi scuso con i miei cinque lettori. Il motivo è dovuto anche al fatto che ho passato sabato e domenica tra la celebrazione solenne in Duomo a Milano per l’ordinazione dei nuovi sacerdoti ambrosiani, la Messa e la festa per il trentesimo di sacerdozio del mio amico decano e parroco del luogo dove vivo e la prima Messa del giovane amico prete ordinato il giorno precedente.
Tre celebrazioni, tanto lunghe quanto belle, che sono state per me altrettante occasioni di riflessione sul significato di essere preti oggi.
Che cosa può spingere nel 2025 un giovane brillante laureato, con una carriera sicura davanti a sé, a scegliere di andare in Seminario e diventare sacerdote? Può davvero Gesù Cristo essere così attrattivo per un giovane occidentale del XXI secolo, di buona famiglia, con davanti a sé un futuro luminoso e di successo nel mondo, al punto da lasciare tutto e dedicare la vita intera a Cristo e alla Chiesa?
Un visionario o un sognatore?
Mentre vedevo questo mio giovane amico sdraiato per terra ai piedi dell’altare del Duomo, come prevede il rito dell’Ordinazione, o celebrare la sua prima Messa, non potevo non ripensare a quel diciottenne che, ancora liceale, venne mandato dal suo Preside a fare qualche settimana di esperienza nella mia segreteria all’assessorato regionale, perché dotato di un interesse e una passione non comune per la politica e le istituzioni. Mi ricordo quanto mi impressionò la sua serietà e la sua competenza, al punto da arrivare persino a notare, con ragione, alcune debolezze del mio staff. E poi la scuola di politica cui demmo vita l’anno successivo, su sua iniziativa, per lui e per i suoi amici. Ecco, un giovane così perché può scegliere Cristo, anziché successo, soldi, potere, cioè tutto ciò che il mondo desidera? Come ha detto don Julian Carron nell’omelia della prima Messa, forse perché è un visionario o un sognatore? Chi lo ha conosciuto, diceva lui e io posso confermare, tutto si può dire tranne che si tratti di un sognatore o di una persona in preda a una crisi mistica. Al contrario, la scelta radicale che ha fatto per la sua vita, nel poco tempo scambiato con lui, mi è parso che lo abbia reso ancora più appassionato alla realtà, senza rinunciare in nulla al suo amore per il diritto, la legge, la politica, la società.
Trent’anni da prete
Allo stesso modo mi ha colpito vedere un uomo maturo, quasi mio coetaneo, festeggiare 30 anni dopo quella stessa circostanza: il giorno della sua ordinazione. E ricordare, nella sua omelia, come il tempo passato abbia trasformato il suo modo di essere prete, ma non la sostanza. All’impeto giovanile – quello dello striscione “in missione per conto di Dio” e delle “marachelle” fatte insieme ai ragazzi dell’oratorio – si è sostituita la maturità di un uomo capace di affrontare e risolvere situazioni spinose, che altri non volevano affrontare, con la decisione e la forza di un capo – come ha detto uno dei parrocchiani – capace di metterci la faccia, assumersi le sue responsabilità e insieme tenere unita la comunità.
Ecco, cosa accomuna uomini così? Uomini virili, pieni di umanità vera. Persone che sai di poter trovare al tuo fianco ogni volta che hai bisogno, capaci di uno sguardo e di una parola adeguata ad ogni situazione, ma ancor più di fatti, azioni concrete, aiuto reale nelle difficoltà, senza nulla concedere allo spiritualismo svagato di certe “anime belle”?
Una vita trasformata
C’è un’unica risposta ragionevole, per quanto impressionante e spiazzante per la nostra mentalità razionalistica e positivista: li accomuna l’essere stati presi da Cristo. Per cui, come diceva san Paolo, «non son più io che vivo, ma Cristo vive in me». In loro vive Cristo. Se vogliamo davvero vedere dove sta Gesù oggi, dove lo si può incontrare nella storia, la risposta è semplice: in quegli uomini che l’incontro con Lui ha trasformato, fino al punto da dedicare l’intera vita a riempire la distanza tra l’uomo e Dio.
Sì, è proprio questa l’immagine che ha usato il mio parroco: avete presente il grande affresco di Michelangelo che rappresenta la creazione nella Cappella Sistina? Quello famosissimo, dove il dito di Dio si avvicina, ma non tocca quello dell’uomo? Bene, il prete è colui che riempie quel vuoto, che colma la distanza tra Dio e l’uomo, continuando nel tempo il miracolo dell’incarnazione, ovvero di un Dio che trasforma la vita in tutti i suoi aspetti, nello spirito e nella carne, e la rende piena, bella e davvero degna di essere vissuta, anche dentro tutte le difficoltà. Grazie a Dio, dunque, per questi uomini coraggiosi e felici. Ne abbiamo bisogno tutti, certamente ne ho bisogno io e non sarò mai grato loro a sufficienza.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!