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L’incubo di Alessandro, il bambino inghiottito dagli ingranaggi della burocrazia

La storia agghiacciante di un "bambino invisibile" tolto improvvisamente dalla giustizia ai genitori affidatari per un problema di procedure sbagliate

Maurizio Tortorella
09/03/2015 - 2:00
Interni
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bambino-shutterstock_218574025

Questa è l’incredibile storia di Alessandro, il “bimbo invisibile”. Alessandro compirà sei anni il prossimo 17 aprile. Nella prima metà della sua breve vita, apparentemente, è stato invisibile agli occhi della burocrazia e della giustizia. E nella seconda metà è diventato invisibile per chi gli voleva bene e lo aveva preso con sé come un figlio.

La storia di Alessandro comincia nell’aprile 2009 a Brescia. Il bimbo nasce da una donna romena di 30 anni, che fa la badante. Sola, in gravi difficoltà economiche, la donna decide di affidare il figlio ai servizi sociali, e Alessandro trascorre così i suoi primi due mesi in una comunità-famiglia a Ospitaletto. Poco lontano, a Castrezzato, vivono Ilario ed Evelina Butti: lui è operaio, lei casalinga, e non hanno figli. I due conoscono una famiglia che fa volontariato, e questa segnala loro il triste caso di Alessandro.

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Ilario ed Evelina all’inizio titubano: «Un bimbo in casa ci pareva un impegno troppo gravoso», dice Ilario. «Nel 2009 io avevo già 44 anni, mia moglie 43. Poi ci siamo fatti forza e abbiamo deciso che fosse la cosa giusta, nostro dovere». Il 19 giugno 2009 Alessandro entra a casa dei Butti e qui finalmente s’interrompe la sua vita da pacco postale. Viene nutrito, rivestito, accudito, curato. Perfino vaccinato. La coppia è convinta che tutto sia in regola: «Abbiamo parlato più volte con gli assistenti sociali, che ci hanno garantito che avrebbero avviato ogni procedura per l’affido temporaneo».

Il tempo scorre. Alessandro è un bimbo dolce, allegro, e l’affetto inevitabilmente cresce, diventa amore. Passano i mesi, gli anni. Gente semplice, Ilario ed Evelina non si chiedono perché mai non arrivi loro un documento dal Tribunale dei minori; non sanno nemmeno che, in quanto genitori affidatari, avrebbero diritto a un compenso di 400 euro mensili, più l’assicurazione speciale per il piccolo Alessandro. Ma non si fanno domande, i Butti. Quel che conta per loro è soltanto quella piccola presenza, in casa, che diventa grande ogni giorno di più.

Il problema è che Alessandro, per la giustizia, è un “bambino invisibile”. Come i Butti dovranno scoprire (ahiloro, troppo tardi), non c’è alcuna procedura legale aperta per il suo affidamento presso di loro. Paradossalmente, in un esposto presentato nel 2014 alla Procura di Brescia e rimasto senza risposta, la coppia denuncia di avere scoperto che Alessandro «è stato coperto dall’assistenza sanitaria nazionale soltanto per sei mesi».

Nella primavera del 2010, visto che gli assistenti sociali latitano, Evelina va in Comune. Incontra persone diverse da quelle che fino a quel momento ha contattato. Ed è qui che inizia il disastro. È come se d’improvviso lo Stato scoprisse l’esistenza di Alessandro. A quel punto non basterà né l’intervento del parroco, che garantisce l’amore dei Butti, né quello del medico, che certifica le loro cure. Non serve nemmeno che la coppia avanzi una tardiva istanza di adozione. La burocrazia si mette in marcia, inesorabile: nel giugno 2012 il Tribunale dei minori di Brescia respinge la richiesta di Ilario ed Evelina e stabilisce che Alessandro è adottabile. Ma non da loro.

«I Butti sono brava gente», conferma il loro avvocato, il modenese Francesco Miraglia, suo malgrado divenuto uno specialista in brutte storie di questo tipo. «Sono andati avanti convinti soltanto di fare bene». Serve a poco. Il 20 settembre 2012 avviene il disastro finale: quattro auto della Polizia municipale si presentano a casa loro, prelevano Alessandro, che grida e si dispera («Papà, ho tanta paura!»), e lo portano via.

Una perizia controversa
Il bimbo invisibile per la legge, a quel punto diventa davvero invisibile, perché nessuno di quanti lo amano lo vedrà mai più. «Quel distacco è stata la cosa più triste della nostra vita», dice il signor Butti, e ancora si commuove. «Mi domando sempre che cosa abbia pensato Alessandro in quel momento, e non c’è giorno che con mia moglie non ci chiediamo come stia, dove stia, chi sia con lui».

A determinare l’intervento e la separazione traumatica non sono né certificazioni di abusi, né maltrattamenti. La causa è una perizia psichiatrica sui due mancati genitori, che certifica un carattere ombroso per Ilario e addirittura una personalità schizoide per Evelina. È un’analisi molto improbabile: per capirlo basta parlare un’ora con loro, e comunque paradossale dal punto di vista legale, visto che per tre anni ai due è stato comunque permesso di tenere con loro il bambino. E non serve a nulla che i Butti corrano a farsi fare non una, ma addirittura tre perizie psichiatriche di parte, che certificano che sono due persone assolutamente normali… Nulla. La giustizia va avanti.

Oggi di Alessandro non si sa più nulla. Rigettato dal Tribunale, il ricorso dei Butti è stato poi respinto anche dalla Corte d’appello: «Evidentemente non devono avere nemmeno letto la nostra perizia», lamenta Ilario. La coppia, disperata, ora è arrivata in Cassazione: l’ultima udienza si è tenuta l’11 novembre. «Da allora non abbiamo saputo nulla», dice l’avvocato. Così come nulla si è saputo dell’esposto penale.

@mautortorella

Foto bambino da Shutterstock

Tags: Adozioniaffidobresciaburocraziamagistraturamaurizio tortorellaservizi socialitribunale dei minori
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