Una delle favole, oramai più tipiche anche per le divertenti e svariate trasposizioni cinematografiche, intorno al Natale e al periodo natalizio è quella a tutti ben nota, frutto della fantasia del fumettista Theodor Seuss che negli anni ’50 del XX secolo ne inventò la storia, del Grinch, cioè un personaggio buffo, ma burbero e scontroso che trascorre quasi tutta la propria vita odiando il Natale e i cittadini del villaggio di “Chistaqua” che invece sono ridenti tutto l’anno e tutta la vita, sempre in trepidante attesa di vivere il felice periodo natalizio.
Il Grinch, creatura dalla pelle verdastra e pieno di difetti a differenza di tutti gli altri, odia il Natale a causa delle falsità create intorno alla sua persona e delle ingiustizie subite; per vendicarsi decide di entrare con il favore della notte in tutte le case del suddetto villaggio per rubare tutto il cibo, tutti i regali, gli alberi natalizi e tutti i simboli della festa; raccolta la refurtiva attende di sentire e vedere il dispiacere degli abitanti del villaggio, che invece, inaspettatamente, si radunano per cantare.
Il Natale, insomma, impara a proprie spese il povero e collerico Grinch, non consiste nel possesso delle cose materiali, nemmeno di quelle che lo simboleggiano, poiché la verità del Natale è ben altra, in quanto il Natale è la nascita della Verità stessa.
Il Grinch si pente, allarga il proprio cuore allo spirito natalizio, restituisce il maltolto e si redime.
Da una simile edificante storiella per bambini si può apprendere, perfino per gli adulti, molto di più di ciò che a prima vista si può ritenere, soprattutto per casi come quello del preside della scuola della città di Rozzano che avrebbe vietato i canti natalizi e la festa di Natale in favore di una festa non religiosa come la “festa d’inverno” (non è chiaro in cosa consista e cosa si debba festeggiare esattamente), o quello del vescovo di Sassari a cui è stato impedito, dagli insegnanti di una scuola primaria, di effettuare la consueta visita natalizia poiché i bambini cattolici sarebbero “soltanto” 122 su 250.
A questo punto non si possono che effettuare delle osservazioni in difesa di tutti questi personaggi che disseminati per l’Italia revocano, moncano, trasformano le feste natalizie (cassando alberi natalizi, visite episcopali, canzoni, presepi, simboli ecc), poiché non è effettivamente colpa loro, ma di quella ideologia, cieca e sorda ai dati storici e alla profondità concettuale, che contraddistingue non tanto e non solo la loro formazione, ma un po’ tutta la società europea in genere ed italiana in particolare.
Insomma, costoro sono soltanto il sintomo di un male più radicale ed esteso che da loro certo non dipende e di cui loro stessi sono prime ed inconsapevoli vittime, cioè il laicismo che stropiccia la effettiva realtà della laicità e della origine di quest’ultima.
Per tale ragione tutti questi insegnanti non dovrebbero essere né trasferiti, né sospesi, né licenziati, né costretti a dimettersi o a subire provvedimenti disciplinari di alcun tipo; andrebbero soltanto invitati a studiare, specialmente prima di insegnare ad altri, cioè esortati ad abbandonare gli oscuri assiomi aprioristici dell’ideologia in favore della luce chiarificante del pensiero.
In primo luogo: nella qualità di insegnanti essi dovrebbero avere nei confronti dei propri alunni il primo e maggior segno di rispetto (rectius, di carità), cioè quello consistente nel dir loro la verità e non la menzogna, ovvero di disvelare la realtà, invece di velarla.
In secondo luogo: tutti costoro dovrebbero, altresì, spiegare ai bambini perché per 15 giorni non ci si reca più a scuola, cioè far comprendere perché è vacanza e perché lo è per tutti, anche per chi non crede o crede in qualcos’altro.
In terzo luogo: nella qualità di insegnanti dovrebbero altresì spiegare ai propri giovani discenti perché si chiama Natale, cioè che si tratta dei festeggiamenti legati alla nascita di Qualcuno e non di una mera festa consumistica come credeva il Grinch.
In quarto luogo: prima di spiegarlo ai giovani discepoli dovrebbero essi stessi apprendere che la laicità è una idea nata e cresciuta soltanto ed esclusivamente grazie all’esistenza del cristianesimo che, evidentemente, nel Natale affonda la sua origine storica.
La laicità, infatti, altro non significa che evitare di idolatrare il potere politico, come il cesaropapismo romano che incensava gli imperatori, o di negare ogni spazio di libertà all’uomo ed alla ragione, come nella teocrazia islamica.
Tutti questi insegnanti dovrebbero ricordare, tra le tante cose, che proprio la laicità è un portato non solo dell’insegnamento della Chiesa cattolica (che nella storia ha evitato all’un tempo di subordinare la sfera temporale o da questa lasciarsi soggiogare), ma del diretto ed immediato contenuto del messaggio di quel Cristo di cui il Natale è celebrazione della nascita.
Così, infatti, riconosce, in una intervista su La Repubblica del 16 febbraio 2006, il filosofo Massimo Cacciari: «Gesù era un maestro di laicità. Chi ha detto che il suo regno non è di questo mondo? Più laico di così… La grande tentazione demoniaca è quella del potere terreno. Gesù è la figura che nel modo più esplicito ha manifestato la libertà dell’anima spirituale di ciascuno».
Il cristianesimo, i cui rappresentanti e simboli oggi vengono cacciati dalle scuole (o perfino dalle Università come accadde a Benedetto XVI a La Sapienza), negato in nome di un frainteso concetto di laicità che finge di ignorare l’origine storico-concettuale della medesima rivoltandola perfino contro le sue stessa fondamenta, si esplicita quale momento di resistenza al totalitarismo del laicismo, cioè alla sublimazione ideologica dell’idea di laicità.
Ancora una volta, come ai primordi contro la presunta divinità degli imperatori romani, e come oggi contro la teocrazia islamica, l’insegnamento cristiano, che nel Natale trova il suo incipit temporale e storico, esprime non solo l’effettiva natura della laicità, ma anche della libertà di pensiero e soprattutto della libertà nella e della verità che alcuni demagoghi, purtroppo, cercano di celare alle nuove ed inermi generazioni.
Non vi è nulla, in sostanza, di più laico che festeggiare il Natale di quel Cristo che ha donato al mondo, oltre tutto il resto, proprio la pensabilità stessa della laicità, come riconosce un altro filosofo quale è Philippe Nemo: «Non c’è niente di più cristiano della laicità […]. La frase di Gesù “date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” riassume e completa questa dualità. Gesù riconosce allo Stato l’utile funzione di mantenere l’ordine delle cose temporali. Ma Cesare deve limitarsi alla sua sfera».
In conclusione: questi insegnanti e tutti coloro che avallano simili iniziative sono dunque da compatire cristianamente più che da biasimare ideologicamente, poiché queste loro prodezze esprimono soltanto l’inadeguatezza culturale di quella ideologia laicista, oggi così pervasiva, che accecandoli impedisce loro di vedere la realtà.
Ma nessuno disperi, poiché proprio il cristianesimo ha insegnato grazie al Natale, cioè grazie alla nascita della Verità incarnata, della luce del mondo, ovvero del Figlio di Dio, che per tutti c’è speranza, e che perfino i ciechi, come questi novelli Grinch, possono, prima o poi, ri-acquistare la vista.
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